Come siamo arrivati al populismo? - di Massimiliano Lorenzo

Come siamo arrivati al populismo? - di Massimiliano Lorenzo

      È utile, per capire le dinamiche di crescita e affermazione del populismo, interrogarsi primariamente sul perimetro del concetto che lo descrive, sul quale serve rilevare che tuttavia gli studiosi della materia ancora non sono giunti ad una visione del tutto unanime e del tutto condivisa. Qui ci si limita, ugualmente, a individuarlo come l’atteggiamento ideologico che vede il popolo come artefice e soggetto proponente e propulsore dell’azione politica.

     Nell’Italia di oggi, come in altre nazioni nel mondo, i populisti hanno preso piede e sono arrivati anche al governo. Cosa ha reso queste formazioni così credibili e forti agli occhi di molti cittadini, tanto da raggiungere i posti più alti delle istituzioni? Negli anni duemila, l’Italia ha conosciuto movimenti di chiaro stampo populista e qui ne vanno citati due, principali: il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e la Lega da Bossi a Salvini. I primi interpretano la parte degli onesti contro i “furbetti” ed i corrotti, dall’altra, i secondi, che incarnavano le sensibilità centrate sulla Patria (innanzitutto padana) e sulla forza: sono i duri e puri dell’italianità (presunta) contro i “buonisti” della sostituzione sociale a favore degli immigrati. È pressoché questo lo schema base che gli uni e gli altri hanno impostato con la loro comunicazione. M5S e Lega hanno certamente al loro interno, elementi significativi e reali della politica e della comunicazione, ma, nella loro storia una grossa mano gli è stata data da chi li ha preceduti. Una mano che a parer di chi scrive è stata tuttavia determinante per la loro ascesa.

      Per questo, bisogna chiedersi: se l’elemento critico della partitocrazia fosse proprio la struttura delle democrazie occidentale? Se fosse proprio la regola dell’alternanza l’elemento debole? E cioè: se le squadre che prendono parte al gioco democratico, al bipolarismo, non hanno saputo applicare adeguatamente lo schema sul campo? Nel ‘900 e nel nuovo secolo i populisti stanno giocando le loro carte nella più lunga e più profonda crisi, che investe economia, politica e sociale, e si muovono in una prospettiva che rischia l’involuzione civile.

      Ma quale la mossa populista che ha spiazzato gli originari e tradizionali assetti della seconda del ‘900? La mossa dei populisti italiani, decisiva e strategica, è stata sostanzialmente quella di intromettersi proprio in quell’alternanza centrodestra-centrosinistra, che avrebbe dovuto garantire la democrazia, come regola aurea. In Italia, queste due squadre si identificano in Forza Italia e nel Partito Democratico. Per un ventennio, le due formazioni politiche si sono alternate alla guida del Paese, ma molto meno nelle politiche. Ed entrambe hanno utilizzato l’altra parte come il nemico da denigrare su ogni aspetto, non solo politico, ma anche e soprattutto sul piano personale. Nella sostanza tuttavia muovevano verso obiettivi comuni ed élitari. In definitiva, i vecchi partiti non hanno saputo trovare strumenti diversi per gestire ed interpretare il ruolo dell’opposizione, così la platea dei cittadini ha dovuto assistere negli ultimi venticinque anni alla politica dell’insulto reciproco, ed il risultato è stato quello della totale perdita della credibilità dei giocatori e l’avanzata dell’antipolitica e dell’antipartitismo.

      Sicché, il centrodestra ed il centrosinistra hanno messo in moto la macchina del fango contro il nemico, senza però differenziarsi nelle politiche per il popolo imbastite negli anni: il campo da gioco era, è ed è rimasto quello del capitalismo globale. Infatti, Forza Italia e Partito Democratico hanno proseguito l’uno le riforme dell’altro nelle politiche di precarizzazione del lavoro, in quelle di disinvestimento pubblico negli asset strategici e in quelle della distruzione dello stato sociale.

         È così bastato che un gruppo di soggetti si presentasse come il nuovo, l’onesto e narrasse sulla difesa degli italiani, perché questo attirasse su di sé simpatie popolari e voti elettorali. Da qui la politica dell’insulto è stata quella che ha aperto in maniera decisiva la strada al populismo e alla forte spersonalizzazione della politica e da qui alla possibilità di una deriva verso il totalitarismo.

 

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