“Che fantastica questa fiesta” direbbe Raffaella Carrà scomparsa a poche ore dalla semifinale contro la Spagna, eppure è tutto vero: l’Italia è Campione d’Europa, 53 anni dopo la prima volta!
E nonostante tutto, faccio ancora fatica a scriverlo, ma non ditelo a Roberto Mancini il primo e unico a credere dall’inizio in questo miracolo. Un percorso incominciato all’indomani della sconfitta contro la Svezia che ci è costata l’esclusione dai mondiali in Russia del 2018 e che ora ci riporta ai vertici del calcio internazionale.
C’eravamo lasciati alla vigilia delle semifinali, ci ritroviamo a respirare “Venti Europei” dal tetto d’Europa, da quel gradino più alto del podio che ci sfuggiva in un Torneo Internazionale proprio dal 2006, e non è per niente male la visione da qui dove si può ammirare un’Europa che da sempre ci bistratta mettendoci in fila sulla scia di indicatori economici che ci vogliono ai margini delle superpotenze, ma che oggi ci rende omaggio.
Abbiamo giocato contro un’Inghilterra fin troppo spavalda, già sicura di vincere al suono di It’s coming home (sta tornando a casa) ribadendo la paternità del gioco del calcio. Abbiamo affrontato uno stadio, Wembley, tirato a lucido per i padroni di casa, fin troppo antisportivo per essere vero. Siamo sicuri che sono loro a doverci dare lezioni di tifo e fair play? I fischi all’inno d’Italia suggeriscono di no. E alla fine di un viaggio lungo un mese la coppa è tornata a casa, sì ma a Roma da dove l’Italia è partita l’11 giugno nella gara inaugurale di questo entusiasmante torneo, fino ad arrivare alla cornice di Wembley, il tempio del calcio che ha incoronato i nostri Azzurri sotto gli occhi lucidi e gioiosi del Presidente Mattarella.
Una squadra senza stelle che mai come quest’anno si è compattata attorno ad un gruppo solido che ha saputo superare le difficoltà della mancata qualificazione ai Mondiali, trasformando la delusione in tensione positiva e cattiveria agonistica. Merito del ct Roberto Mancini bravo ad infondere fiducia ad ognuno di loro, ha poi ricostruito la Nazionale partendo dalle fondamenta, ricreando l’armonia della sua Sampdoria capace di vincere lo scudetto nel 1991, affidandosi all’amico e gemello del goal, Vialli. Iconico il loro abbraccio a fine partita perché nelle loro lacrime c’erano tutte le sofferenze personali e sportive e c’era la consapevolezza di aver ridato un pizzico di fiducia ad una Nazione in cerca di punti di riferimento, di qualcosa in cui credere, a cui agganciarsi per tornare a sognare.
Lo storico Primo Ministro britannico, Winston Churchill, diceva che “gli italiani prendono le partite di calcio come se fossero guerre”. Sarà pur vero, ma questa festa ce la meritiamo tutti. Il tricolore sui balconi, i caroselli, i pianti di gioia… finalmente siamo tornati protagonisti in Europa dopo un anno a dir poco travagliato, perché il calcio si conferma ancora una volta termometro di una Nazione che per prima nel Vecchio Continente ha vissuto il dramma di un virus che ha cambiato le nostre vite e che ha voglia di notti magiche.