E’ manifestazione generalizzata quella di voler un mondo migliore, dove alberghino la pace, l’umiltà e la fratellanza…la serenità e la tranquillità. Fondamentali i dettati del cristianesimo sul Paradiso, che facilmente sono entrati nei desiderata di tutti, nel miglior immaginario popolare. E molti sono i detrattori e i critici degli aspetti negativi dell’essere umano, peraltro naturalissimi, ma banditi dalle chiese e dalla morale pubblica. Pochi quelli che hanno colto paradossalmente gli aspetti positivi della cattiveria, dell’istintività, anche se sublimate. Tra questi Adam Smith, filosofo ed economista, il quale sottolineò che l’Uomo fosse irrimediabilmente malvagio, ma da tale constatazione ne derivò che le caratteristiche umane, naturali (e dunque inopportune?) messe a sistema avrebbero prodotto benefici più grandi dei malefici. Ed in effetti, le sue teorie, alla base della moderna economia, hanno portato ad un benessere mai raggiunto prima dall’umanità, compreso l’allungamento della vita, basandosi il tutto infatti su individualismo spinto e su alta competizione, il cui perno è la cattiveria. Insomma, non è azzardato affermare che la nostra civiltà ha messo a sistema anche il male, per raggiungere gli obiettivi fissati dagli illuministi (illuminati?) nel ‘700, quali la ricchezza materiale diffusa ed, entro certi limiti, l’immortalità.
In tale direzione va sottolineato che, nel mondo Occidentale sono più di settanta anni che non vi si presentano guerre di rilievo, ma nella terminologia economica è entrato a pieno titolo molto del lessico militare e bellico: è finita la guerra, ma parliamo come se fossimo in guerra! Il confronto, nel mondo sviluppato, Occidentale, di fatto si disputa e si sviluppa sul mercato, tra aziende, tra banche e tra consumatori, nonché tra aziende, banche e consumatori e non più a colpi di cannone o di mitragliatori. Ma c’è di più. Uno dei libri più venduti in Italia, negli ultimi anni, è ascrivibile a Sun Tzu – L’Arte Della Guerra - che invita all’inganno, quale strumento principale, se non proprio esclusivo, in una competizione.
In tutto questo, in questo competere, un posto principe lo occupa l’invidia, che è quel sentimento che porta un individuo a voler superare e demolire chi ha una posizione di successo, o che lui reputi desiderabile. L’invidia, uno devi veri motori della nostra società, è un peccato, uno tra i primi –si ricordi Caino- che alla base porta e parte dal non riconoscimento della propria diversità e del proprio destino. Insomma, è un ignorare nel profondo la propria persona e voler essere o superarne un’altra, che si reputa in una situazione auspicabile, un modello. Nel contempo e automaticamente, l’invidia porta, però, a sentirsi insufficienti, minoritari rispetto a certe situazioni o soggetti, porta in definitiva ad una vita da frustrati. Da qui, dall’invidia appunto, l’azione e una vita dedicate al superamento, alla scalata sociale ed economica. Si aggancia all’invidia, ovviamente, la voglia dello stupire, che spiega la spettacolarizzazione di quasi tutte le attività umane.
Naturalmente, l’invidioso ha tutta una sua filosofia, generata per coprire e travestire questo suo sentimento socialmente bandito, la quale si traduce in proposizioni e giustificazioni che lo rendano accettabile e, per giunta, meritevole di stima e riconoscimento. Ne conseguono così certe filosofie sull’utilità, sulla necessità, sull’emulazione, sull’uguaglianza, sulle necessità di condivisione, dell’espressione intima come panacea di tutti i mali e via dicendo, che tuttavia celano sotto (o dietro le quinte?) ben altri intenti.
D’altro canto, c’è chi, in posizione di potere e dunque anche di successo, si trova a dover rispondere a tutti gli attacchi che gli vengono dagli arrivisti, gli invidiosi che vogliono abbattere e sostituirsi alle loro posizioni. Anzi, chi è in posizione di potere comprende l’invidioso con una mossa d’anticipo. Ovvia è la conseguente sottile competizione sociale, che conduce a costruire armi esistenziali ed economiche sempre più sofisticate, sempre più evolute, sempre più incisive, per chi gioca in attacco e per chi gioca in difesa.
Superata la soglia di sopravvivenza, l’uomo comune, infatti, produce e consuma in quantità sempre crescenti prodotti simbolici. Non a caso oggi, gran parte dei prodotti hanno un valore di mercato infinitamente più alto rispetto a quello reale. Tra le altre un prodotto di successo è un prodotto che ha un contenuto ideologico di valore: realmente non valgono niente. Ciò che si acquista è il significato, l’idea, e quelle idee e quei significati che sono efficaci ed efficienti nella competizione sociale, basata sull’emulazione e il superamento di chi reputiamo superiore a noi. Prodotti che, in definitiva, lo rappresentano e lo lanciano in questo confronto forsennato e senza una conclusione (al riguardo, è utile consultare Alexis de Tocqueville, La Democrazia in America - 1835). E così, da una parte si desiderano la pace ed il Paradiso, la tranquillità, ma dall’altro non si rinunzia alla competizione, costi qualsiasi dolore e sofferenza. Insomma, c’è chi vorrebbe un sistema diverso, ma tuttavia non è disposto rinunciare alla propria invidia o ad accettare le proprie debolezze. Oggi, solo così è possibile spiegare un certo lessico: non ci si alimenta, ma si degusta, non ci si veste, ma si indossa, non si abita, ma si risiede, non si lavora, ma ci s’impegna. Ecco, le residenze, i look, le alchimie edule e le varie orpellerie da ostentare o commentare con vanto, dove il lavoro, quello vero non esiste, risolvendosi anche questo in una questione esclusivamente simbolica.
E così la spinta dell’insufficienza generata dall’invidia apre le porte allo sviluppo e dunque, al consumo crescente, alla produzione senza limiti, ed in definitiva, all’occupazione ed al lavoro, il tutto in una spirale crescente e centrata sul senso dell’insufficienza e della voglia di superare il prossimo. Ed in questo scenario, alimentano una certa tenerezza e simpatia, le utopie degli assistenti dell’anima, di quelle anime che in questa folle battaglia economica e sociale riportano ferite a volte inguaribili.
Per concludere, alcuni, sin da tempi insospettabili, parlano di sana competizione per evitare le degenerazioni, ma nessuno sa tracciarne i confini da non valicare. Forse, l’unica alternativa che si pone all’avere una “sana competizione”, che potrebbe essere centrale nella politica di oggi, è il rispetto delle regole condivise, siano esse leggi siano esse prassi comuni. Ed in questo l’Occidente, forse, ha perso il senso dello sviluppo e il senso della crescita, che stanno avvenendo in maniera disordinata e convulsa, con effetti probabilmente devastanti sul piano dell’ecosistema e dell’esistenza in sé.