Non si capacita Antonio Mg Amato che le disposizioni del governatore pugliese siano tanto dementi da costringerlo a serrare bottega, così stringenti da fissare distanze siderali fra tavolo e tavolo, fra persona e persona, fra artista e artista. Come si fa a spegnere quell’alito di arte che avviluppa tutti, lui per primo? Senza distinzioni e specializzazioni. Qui l’arte tutta è premiata. Lo sanno gli avventori del lunedì, il famoso lunedì degli artisti. Giungono da ogni dove. Sì, ci sono i locali, tamburellisti innanzitutto, poi chitarristi, chitarra e voce, solo voce, solisti dal tono cupo e giovani fanciulle i cui acuti ti mandano in visibilio. Magari accanto hanno un disegnatore o un installatore di avveniristiche visioni o una pirografara o uno scultore di tronchi di noce e d’ulivo, le cui opere sono giunte in dono a Papa Francesco, un’ultima cena dove i personaggi, compreso Cristo, erano rappresentati nella loro modestia umana, nella concordia. Sentimento e pratica piuttosto rara di questi tempi, ma non qui alla Puteca de mieru, rigidamente in dialetto salentino, che pesca qua e là nella lingua e nella cultura dei vari popoli che hanno dominato questo lembo di terra messapica. Il grecanico da apotheke passato all’italiano bottega e il latinista mieru, schietto, contrapposto all’aggiunta di acqua come veniva praticato durante le mescite per assicurare felicità ai banchettanti. Come accade qui.
Questo luogo è riconosciuto da tanti artisti provenienti da ogni dove che si riservano una tappa obbligatoria, concordata con l’oste della malora, che borbotta, dispone, si indispone, alla fine procede sospirando a dar seguito alle ordinazioni e dal maestro di cerimonie, Pasquale Quaranta, che partito con i ritornelli erotici salentini ha imbastito storie e ritmi tra il popolare e l’esotico specie quando attraversa i confini immaginari del Salento verso l’Adriatika.
Il posto effettivamente è piccolino: un ingresso dove è situato il bancone che svolta in una saletta rettangolare dove sono disposti dei tavoloni e dei lunghi scanni che si toccano schiena contro schiena. È un miracolo che si possa stare in così tanti. A fianco il regno di Antonio, la cucina dove non ci deve mettere il piede nessuno, neppure per sbirciare. Di fronte una stanzetta con tanto di grate che proteggono il prezioso liquido contenuto nelle botti di rovere o di altro legno indurito dal tempo. Specialmente il lunedì sera, dopo un’apparente tranquillità parte l’iniziativa di qualcuno che imbraccia la chitarra o qualsiasi strumento che trova in giro o che si è portato da casa e attacca prima con una certa soavità e dolcezza, poi complice anche il vino che ha pervaso il cuore di tutti il ritmo si fa irrefrenabile, interrotto da qualche pausa poetica o letteraria. Un mondo unico, un luogo dell’anima che rischia di chiudere perché è impossibile garantire la continuità. Per la verità Antonio si è appellato ai clienti affezionati per affidare la sua creatura. Nello stesso tempo va rivolto un appello al sindaco e alle autorità locali e regionali perché provvedano a fornire almeno uno spazio esterno, ora che arriva l’estate, per poter ospitare sulla strada gli astisti che si alternano con strumenti e vocalizzi, anche con ritmi forsennati senza fine. “Non facciamo finire così una bella esperienza!”, invoca P40 e invita tutti a solidarizzare con Antonio estorcendogli l’impegno per la continuità, almeno per un’altra stagione in attesa del vaccino.
Paolo Rausa