Durissima e disincantata la posizione dell’Unione Sindacale di Base sulla vertenza Whirlpool. Una storia già scritta, la definisce il sindacato indipendente nato nel 2010, destinata all’epilogo inevitabile rappresentato dal licenziamento dei 350 lavoratori dello stabilimento napoletano.
Il mercantilismo e la sacralità del profitto a cui la politica si sarebbe inchinata sono le cause, secondo l’USB, dell’ennesima sconfitta del lavoro: “Le multinazionali, come tutti i padroni, non fanno beneficenza e se ritengono che da qualche altra parte del mondo possano trovare condizioni economiche e produttive più favorevoli, spostano gli impianti e se ne vanno senza neanche ringraziare chi gli ha portato finora l'acqua con le orecchie. Come i governi italiani sempre ossequiosi e riconoscenti di fronte al fatto che venisse scelto il nostro Paese per aprire una fabbrica”.
Per l’USB sarebbero mancati, negli anni passati e anche oggi, i vincoli necessari per imbrigliare gli istinti predatori delle multinazionali, naturalmente orientate alla ricerca del maggior profitto. Vincoli capaci di ancorare la loro azione a quella dimensione sociale del mercato sancita dalla Costituzione, che assegna allo Stato un ruolo attivo e non subalterno rispetto ai grandi capitali, davanti ai quali lo Stato ha spesso subito il ricatto occupazionale.
La sofferenza della politica davanti alle decisioni delle multinazionali è frutto, secondo il sindacato, di scelte strategiche miopi che la pandemia si è incaricata di mettere a nudo: “Chi, anche nel recente passato, aveva accettato l'idea che nella divisione internazionale del lavoro all'Italia toccassero il turismo e i servizi alle imprese, oggi si confronta con una pandemia che ha devastato il turismo, soprattutto quello internazionale, e reso i servizi inutili e impraticabili di fronte alla spinta forzata alla digitalizzazione e al diffondersi dello smart working”.
L’aver trascurato il peso dell’industria sarebbe dunque un peccato mortale della politica, ormai incapace, secondo USB, di imporre il proprio ruolo dominante. Un ruolo che non si limiti a quello di mero erogatore di fondi e sussidi: “Gli interventi tampone, come plasticamente dimostra la vicenda Arcelor Mittal, la subordinazione ai capricci delle multinazionali, la disponibilità a usare i soldi pubblici per andare in soccorso non ai lavoratori ma ai padroni, si sono dimostrati non solo inefficaci ma addirittura hanno diffuso l'idea che nel nostro Paese si possa venire a fare shopping industriale serviti e riveriti e si possa scappare con i profitti e con i soldi dello Stato”.
“Sul tavolo del MISE - ammonisce l’USB - giacciono da tempo immemore più di duecento vertenze che non hanno trovato e non troveranno soluzione, ma porteranno inevitabilmente, soprattutto in questa drammatica fase, ad avvicinarci sempre più al baratro della totale desertificazione industriale”.
Per questo sarebbe necessario un cambiamento radicale di strategia. Una visione nuova, antitetica ai dogmi del liberismo: “è tempo di cambiare, scegliendo di darsi, o di ridarsi, strumenti nazionali di indirizzo e governo delle scelte economiche. Una nuova IRI, per capirsi, è necessaria oggi più che mai per garantire all’Italia il mantenimento di insediamenti produttivi, strategici per il Paese”.
Un ritorno al passato per garantire un futuro all’economia, alla società e a tutto il Paese.