Oggi, 2 giugno, la Repubblica italiana compie 75 anni, è quindi una ragazzina se si guarda alla storia europea, ma è già abbastanza “grande” per cominciare a svolgere i propri doveri. Mi riferisco ovviamente al primo articolo della Costituzione, la legge fondamentale dello Stato, che tutti noi conosciamo: “La Repubblica è fondata sul lavoro”. Per dirla alla Benigni, è una delle cose più straordinarie del mondo, immensa e grandiosa, fondata su valori nobili - come il lavoro ad esempio - costituita da 12 principi fondamentali, nei quali, tra le altre, si ripudia il fascismo e si osteggia l’indifferenza alla politica.
Un’indifferenza che contrariamente a quanto voluto dai padri e dalle madri costituenti è andata aumentando nel corso degli anni, favorita da una crisi economica senza precedenti e da un’emergenza sanitaria che hanno causato uno scollamento tra la politica e i cittadini, che non si riconoscono in una classe politica ormai identificata come la nuova casta.
Ma tralasciando queste tematiche ormai ampiamente affrontate, voglio immaginare ci sia un elemento di continuità che lega il 2 giugno del 1946 ad oggi. Allora fu il Referendum al quale parteciparono per la prima volta le donne. L’Italia dell’immediato dopoguerra si ritrova attorno alle urne in un’aria effervescente: Repubblica o Monarchia; il popolo diventa artefice del proprio destino dopo un ventennio di dittatura fascista.
Esattamente 75 anni dopo stiamo lentamente appropriandoci dei nostri spazi, dopo un anno di restrizioni e chiusure. L’avanzare dei vaccini non può che far sperare, mentre l’Italia si colora di bianco e si prepara a dire addio al coprifuoco alla vigilia dell’estate. I volti felici delle giovani donne, madri e figlie di ragazzi chiamati al fronte, si ricollegano ai volti degli studenti che oggi tornano a scorrazzare per le strade mentre la didattica a distanza allenta la presa. Così come l’esito di quel voto diede avvio alla stesura dalla nostra Costituzione, frutto del riavvicinamento di tutte le forze politiche dell’epoca, nel 2021 siamo chiamati a riprogrammare il nostro presente.
L’emergenza sanitaria ha messo a nudo le carenze del nostro Paese, e come allora i partiti hanno il dovere di mettere da parte gli slogan elettorali e cominciare a dialogare per ripensati tutti gli spazi condivisi, i luoghi della cultura continuando ad investire sul digitale. La storia è ciclica lo sappiamo, e quell’armonia non durò a lungo. Il boom economico mise a tacere le forti tensioni sociali esplose con l’attentato a Palmiro Togliatti del 1948. A proposito di questo, si racconta come la vittoria di Gino Bartali al Tour de France fece evitare una e vera e propria guerra sociale. Lo sport si sa, è espressione sociale, e quale momento se non questo per tornare a festeggiare in uno stadio pieno, dopo una stagione a porte chiuse.
Spesso si è parlato di guerra per riferirsi alla lotta al coronavirus, ma Alessandro Barrico in “Quel che stavamo cercando” fa notare come al contrario di oggi, durante i grandi conflitti mondiali sono stati troppi i giovani che hanno perso la vita.
In questi giorni si sta somministrando la dose del vaccino ai maturandi che colmi di senso del dovere hanno aderito senza polemiche. La ripresa deve partire da loro, come è stato fatto negli anni del “miracolo italiano” con la certezza che nel 2021 possiamo fare meglio del passato, perché se allora lo sviluppo industriale ha riguardato quasi esclusivamente il nord est con l’asse Milano-Torino-Genova a guidare la produzione del Made in Italy, oggi il digitale ha annullato i confini e abbiamo quindi, l’occasione di annullare il divario a livello di infrastrutture che caratterizza nord e sud.
Sarà un processo tutt’altro che semplice e scontato, ma il desiderio di rinascita e ripartenza, con le dovute proporzioni del caso, non può che essere lo stesso, con i giovani ad indicare la strada e i meno giovani a fornire l’esperienza necessaria. Per questo ci sarà bisogno della consapevolezza di tutti i cittadini per mettere le basi verso un nuovo sviluppo rimanendo sempre “con gli occhi aperti nella notte buia” come ci ricorda Francesco De Gregori.