È questa la domanda che mi viene in mente dopo aver letto l’articolo di Gloria Riva “Un muro di soldi” e pubblicato sul settimanale l’Espresso. Un articolo che mi ha incuriosito molto e che riprende il dossier “The Big Wall” realizzato dall’Organizzazione Internazionale ActionAid Italia impegnata alla lotta alle cause delle povertà. Il nostro Paese – spiega Roberto Sensi, Policy Advisor Global Inequality dell’organizzazione – utilizza 317 linee di finanziamento, spendendo complessivamente 1,33 miliardi di euro, nel solo periodo 2015/2020, per la lotta all’immigrazione.
Mi colpisce la cruda realtà che ne consegue. E come chiarisce la giornalista dell’Espresso, “l’obiettivo del nostro Paese sembrerebbe quello di impedire di entrare in Italia a chiunque provenga da uno Stato africano, a meno che non abbia qualcosa a cui tornare. In questo caso viene rilasciato un visto, ma solo per chi possiede rendite, proprietà, affari e posizioni di rilievo. A sostegno di questa tesi, ci sono le modalità di concessione e di utilizzo dei fondi stessi; circa la metà di essi, infatti, viene utilizzato per l’acquisto di armi e imbarcazioni per la difesa dei confini. Un business che rimpolpa le casse pubbliche, dal momento che le armi sono realizzate nei cantieri della Leonardo SpA, il cui maggiore azionista è il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Un altro 14% è utilizzato in Progetti di cooperazione per favorire lo sviluppo nei Paesi di origine e di transito dei migranti. Una sorta di “aiutiamoli a casa loro” ancora sottolinea Gloria Riva, ma che non genera risultati concreti, dal momento che non vengono utilizzati indicatori di valutazione d’impatto utili a monitorare l’efficacia delle misure applicate.
Scopo dei finanziamenti è quello di limitare le partenze, premiando i Paesi che si impegnano a farlo. Ma ancora una volta questi fondi servono a dare ossigeno alle casse statali dei beneficiari. Il reale supporto all’economia locale viene tralasciato: nessun accenno per la salvaguardia della pesca, lotta alla speculazione e alla corruzione o alla salvaguardia ambientale.”
Ma si vuole davvero limitare questa problematica? Il Mediterraneo, culla della nostra civiltà, è già testimone di un disastro di cui un giorno dovremo dare conto; per fare solo un esempio lo scorso 27 aprile la ONG Ocean Viking ha soccorso 236 persone a bordo di due gommoni in acque internazionali a 32 miglia dalle coste libiche. Penso che la multiculturalità, così come la biodiversità in agricoltura, sia qualcosa da difendere e privilegiare e, allo stesso tempo, un fattore da pretendere se si vuole osservare e vivere il mondo circostante da diverse prospettive. Sono rimasto colpito quando a gennaio di quest’anno il Regno Unito ha definitivamente lasciato l’Unione Europea, a seguito del risultato del referendum del 2016. Una scelta epocale, perché incongruente se si pensa a cosa ha rappresentato Londra negli anni della ripresa economica nel secondo dopoguerra e per tutto il Novecento: una città all’avanguardia, crogiuolo di etnie e nuove correnti culturali e sociali.
Oltretutto l’immigrazione può dare un prezioso contributo all’assetto delle nostre città. L’unica soluzione è trasformare il presunto problema in opportunità di crescita e sviluppo, non solo tecnologico ma anche soprattutto sociale e culturale. Come accaduto nel settembre 2019, quando il Consiglio Comunale di Lecce, ha riconosciuto la cittadinanza onoraria all’attivista e scrittore Yvan Sagnet ( in foto in Aula Consiliare insieme al sindaco di Lecce Carlo Salvemini – tratta da Leccenews24) che nel luglio del 2011, quando ancora studente di Ingegneria delle Telecomunicazioni al Politecnico di Torino, decise di trasferirsi a Nardò, in provincia di Lecce per lavorare come bracciante agricolo. Una volta qui, lo studente camerunese scopre il mondo dello sfruttamento e decide, quindi, di organizzare uno sciopero contro le condizioni disumane a cui i lavoratori erano costretti. Una protesta che ha contribuito all’introduzione del reato di capolarato in Italia.
È innegabile che il mondo occidentale ha una colpa: l’aver voluto esportare a tutti i costi la propria Cultura, opprimendo le divergenze, cancellando le unicità locali. L’immigrazione è il conto che stiamo pagando per la politica sovranista di cui siamo stati artefici fin dall’800, ma che diventa un affare da cui difficilmente vogliamo allontanarci, lasciando credere sia solo una problematica.