In prima battuta, v’è da chiedersi se sia attuale e di qualche utilità proporre un modello di riferimento che inquadri gli intellettuali, ovvero coloro che svolgono attività di letterati e filosofi, nonché gli affini a questi, quali appunto gli economisti, i sociologi, gli antropologi e via dicendo, sulla base delle coordinate destra-sinistra.
Sicuramente, va detto che l’intellettuale, per forza di cose, svolge attività politica attraverso la pubblicazione delle sue opere, i convegni, che, di fatto, propongono valori e visioni sociali del mondo o di un mondo. Ed è assolutamente falso che il prodotto dell’uomo di cultura, dell’intellettuale appunto, sia neutro, rispetto alla dicotomia destra-sinistra. È un prodotto, il suo, che mette l’accento su certi aspetti dell’esistenza umana e ne nasconde molti altri, che non condivide ed esclude, che avvalora dei principi e non altri. Dietro ad ognuno di questi esiste un sistema di pensiero, che può essere e deve essere classificato.
Oggi, tutto ciò è meno evidente, ma non così fino alla Prima Repubblica, dove la politica era infarcita di intellettuali di calibro rilevante, anzi ne era il prodotto, perché una società orientata alla produzione e non al consumo come quella di oggi. E tuttavia anche la Civiltà dei Consumi ha la sua destra e la sua sinistra. I nostri tempi, tuttavia, sono caratterizzati da intellettuali che si muovono dietro le quinte, senza grande clamore, lasciando la vita pubblica e politica a chi sa fare sostanzialmente spettacolo, il vero protagonista dei tempi attuali, essendo infatti queste spettacolari, dove il colpo di scena è quello che non esiste destra e sinistra: tutti uguali! …….ma solo apparentemente.
Dagli anni ’90, l’imperante e popolare relativismo ha condotto alla confusione delle lingue e delle idee in una gigantesca babele, portando a definire la cultura senza colorazione politica. Qui la libertà di pensiero e la libertà di parola hanno prodotto la nuova schiavitù, quella senza catene, fatta di solitudini ed incapacità di collegarsi e raccordarsi al prossimo, se non sul piano consumistico e dei feticci. In tutto questo bailamme, in tutto questo chiacchiericcio, in tutto questo “rumore”, tuttavia, la cultura rimane e conserva ancora una valenza politica, anche se le masse di ciò ne sono totalmente inconsapevoli. Un distinguo politico c’è e per varie ragioni. La confusione nella quale siamo avvolti ha condotto ad un mondo sostanzialmente cieco e violento, di una violenza più sottile e letale di quella fisica, una violenza che si nasconde dietro le idee, dietro le parole, dietro i concetti di libertà e di uguaglianza. E ciò a tal punto che se sul piano consumistico siamo evolutissimi, sul piano più strettamente culturale è facile constatare una preoccupante e drammatica involuzione: neanche l’uomo del Medioevo era così ignorante e violento come l’uomo d’oggi, dove lo strumento politico s’è trasformato solo come funzionale ad una generica violenza.
Ed ecco che, mancando di un piano di riferimento formale, di una definizione dei termini sociali e dunque anche di quelli politici (sistematicamente distrutti negli ultimi tre decenni dagli stessi filosofi e sociologi) la comunicazione, infatti, è informata solo dagli istinti primordiali, anche se travestiti con un lessico ricco e forbito.
E appare più che mai urgente, anche se rifiutato e osteggiato dai filosofi asserviti ai poteri forti, un ritorno alle classificazioni, al procedere per modelli di riferimento, onde riaccendere il dibattito sociale ed impedire che vengano meno i presupposti basilari della democrazia, incalzata dalla violenza tout court. Questo perché all’interno di un contesto indifferenziato il confronto, il dialogo, lo scambio diventano impossibili, soprattutto a livello di comunicazione.
Come per il linguaggio esiste un vocabolario, che definisce e perimetra il significato delle parole, anche per i fenomeni sociali e politici occorrono dei perimetri, delle sagome di riferimento, per il ritorno ad un vivere civile e non solo tecnologico.
Qui e lì ogni tanto appare qualche articolo, ed anche qualche saggio, sull’arcana questione, circa la cultura e l’intellettuale di destra e di sinistra. Molte le opinioni, pochi gli sforzi che tendono ad una sintesi, bloccati da una critica fine a se stessa, volutamente mendace ed ingannevole, che fomenta false rivoluzioni e finti riscatti popolari.
Certamente, il compito non è di facile soluzione. Al di là di ciò, tuttavia, è possibile individuare dei minimi comuni denominatori nella cultura di sinistra e nella cultura di destra che qui si propongono su tre coordinate sulle quali riflettere e trovare i relativi riscontri.
Un primo punto va costruito sull’assunto hegeliano dove ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale. Qui è facilmente riscontrabile che per la sinistra ciò che è razionale è reale, mentre per la destra vale esattamente il contrario. Vari gli esempi in politica, in economia, in sociologia, in psicologia dove per gli intellettuali di sinistra la progettazione dell’esistenza è alla base dell’agire, mentre di contrario avviso tutta la letteratura di destra, dove i fatti, interpretati, pongono le prospettive da perseguire. Un secondo asse riflessivo va individuato nelle specificità degli intellettuali, dove quelli di sinistra sono prevalentemente pedagogici e intellettivo-razionali, amano e devono fare i professori (o i nuovi chierici?), muovendosi prevalentemente in gruppo, mentre quelli di destra hanno un orientamento spirituale, con slanci che vanno verso l’esoterismo e l’isolazionismo. Anzi, aggiungerei, questi ultimi spesso si producono nello sparizionismo. Molti sono gli artisti, gli scienziati, i letterati di destra, che ad un certo punto della loro vita, spariscono dalla scena sociale. Un terzo punto, forse il più importante, va individuato nei momenti di riferimento sui quali gli intellettuali edificano i loro costrutti culturali. Mentre, infatti, la sinistra si rifà a coordinate prodotte dal pensiero, legate alla natura, nella componente di destra, invece, i modelli di riferimento sono ultraumani e sovrannaturali. Da qui la povertà e la ricchezza presentano valori e significati diversi tra destra e sinistra.
Samuele de Benedetto