Uno dei temi che continua a far dibattere, in tempi di Covid, è la scuola, per la sua organizzazione e i necessari investimenti. Le critiche, però, si allargano anche alla questione trasporti, nota dolente per un gran numero di città italiane.
Alla luce del crescente numero di contagiati, il Governo ha varato un nuovo decreto, uno dei famosi DPCM, a seguito anche del dibattito politico con Regioni e Comuni. Tra le ipotesi, prima del varo, sul tema scuola, vi era proprio la possibilità di tornare alle condizioni dei mesi di confinamento, ovvero alla didattica a distanza. Nota è anche la difficoltà per una parte di italiani nel collegarsi adeguatamente alla rete internet, se non in difficoltà nel reperire strumenti idonei all’accesso telematico delle lezioni. Come altrettanto conosciute sono le condizioni precarie vissute da insegnanti e personale non docente.
Diverse le parti sociali, politiche e sindacali che si sono espresse sulle condizioni della scuola italiana. A chiarire la propria posizione sul tema è stata proprio l’Unione Sindacale di Base, in una nota diffusa nelle scorse ore, nella quale ha invitato lo Stato ad un maggior impegno:
“Il presidente della conferenza Stato Regioni, Stefano Bonaccini, ha chiesto di tornare in didattica a distanza alle superiori, per alleggerire la pressione sui mezzi pubblici.
Dall’emergenza di marzo sono passati sette mesi e la verità è che nessun investimento serio e strutturale è stato fatto sulla scuola: gli spazi sono angusti come prima, gli organici scarni e i precari sono anche aumentati. I mezzi pubblici non sono stati in alcun modo potenziati come richiederebbe un loro uso rispettoso delle distanze necessarie.
Quindi la soluzione qual è per Bonaccini? Tenere a casa gli studenti delle superiori per non affollare i mezzi che devono essere usati dai lavoratori per recarsi in quei luoghi di lavoro dove nessuno controlla che vengano rispettate le misure di sicurezza, come invece accade nelle scuole nonostante mille difficoltà. Per quei giovani, che già hanno trascorso gran parte dello scorso anno a casa, non è accettabile una didattica zoppicante e inefficace come quella a distanza. Una didattica che non garantisce alcun serio apprendimento, ma determina demotivazione e frustrazione in docenti e studenti; una didattica che produrrà danni culturali enormi, che nemmeno siamo in grado di prevedere oggi.
È sconvolgente che ai lavoratori della scuola venga raccontata questa come l'unica soluzione possibile. Non possiamo continuare a farci andare bene la narrazione per cui l'unica strada sia la rinuncia.
Come docenti e ATA dell'USB noi pensiamo che la sola strada possibile sia pretendere un serio investimento in scuola, università, ricerca, sanità pubblica.
Noi non rinunciamo alla dignità necessaria per il nostro lavoro e per la formazione di studentesse e studenti.
Non accetteremo di pagare ancora di persona per la mancanza di pianificazione di uno Stato e di un governo che continuano a scaricare totalmente sui comportamenti dei privati cittadini la responsabilità di questa pandemia, né pagheremo per le disastrose politiche sanitarie regionali, che sulla sanità hanno lucrato e fatto lucrare i privati e che da marzo non hanno rafforzato la medicina territoriale (a partire dalla medicina scolastica) e le strutture ospedaliere.
Non possono e non devono essere i giovani di questo Paese a pagare il costo delle scelte scellerate e della totale mancanza di senso di responsabilità di una classe politica indecente.
La scuola si fa in aula. I giovani hanno diritto a una scuola vera, di qualità, sicura.”