Voto che cerchi, astenuto che trovi – Massimiliano Lorenzo

Voto che cerchi, astenuto che trovi – Massimiliano Lorenzo

          Siamo ormai a pochi giorni dagli election days, durante i quali i protagonisti saranno direttamente gli italiani, nelle cabine elettorali. Infatti, dopo i rinvii dovuti al confinamento per prevenire il contagio da coronavirus, i cittadini italiani tutti dovranno esprimere il loro voto, recandosi ai seggi, nelle giornate del 20 e 21 settembre prossimi. Saranno tre gli ordini di votazione: il referendum costituzionale per il taglio dei parlamentari, le elezioni dei Presidenti e dei Consigli per 7 regioni e quelle per il rinnovo dei Sindaci in oltre mille comuni. Come per tutti i momenti elettorali importante e significativa sarà l’affluenza alle urne, per saggiare il sentiment degli italiani nei confronti della politica, come la fiducia nei Governanti. Ma come per ogni elezione, importante sarà anche la percentuale di coloro che non si recheranno ai seggi e non esprimeranno le loro preferenze, vale a dire gli astensionisti.

          Tante sono le compagini in campo, di tutti i segni e colori politici, che si contendono un seggio in consiglio regionale o nell’amministrazione comunale. Tante sono le forze spese e tanto l’impegno profuso per raggiungere, con la comunicazione elettorale e gli appelli, fino all’ultimo degli aventi diritto al voto. Ma queste sono dinamiche vecchie, tanto quanto la democrazia rappresentativa e delegante. Per tutte le democrazie, appunto, è fondamentale proprio che i votanti si presentino ai seggi e crocino su di un SI o su di un NO, che mettano un segno su questo o quel partito, o coalizione che sia. Non siamo però in un mondo ideale e teorico, nel qual tutti partecipano alla vita sociale e politica del territorio in cui vivono, e soprattutto non tutti si sentono coinvolti nella vita comunitaria, almeno non necessariamente in quella della rappresentanza. Infatti, esiste un vero “popolo degli astenuti”, certe volte più ampio, altre volte più ristretto. Ma c’è, esiste! Questa figura, dell’astensionista appunto, è decisiva anche nei referendum confermativi, quando non vi è un quorum da raggiungere. Semplice intuirne la motivazione! Difatti, chi vuole che la Costituzione cambi, che il numero di parlamentari passi da 945 a 600 in questo caso, andrà a crociare si, con buona pace di coloro che si frappongo a tale passo.

          Da ormai 40 anni, il fenomeno dell’astensionismo o del non voto è una costante in Italia, e non solo in Italia, e si sostanzia nella circostanza che una larga fetta di popolazione, nel momento cardine della democrazia, ovvero quando deve esprimere il proprio voto nelle urne, non si presenti e dunque non esprima la sua preferenza e il suo orientamento politico. E ciò con motivazioni non sempre ascrivibili ad una razionalità. Possiamo trovare colei o colui che non si sente investito dal diritto/dovere costituzionale del voto, come non è raro incontrare colei o colui che della politica e dei politici non si fida più! E ancora, sovente troviamo anche coloro che scientemente e consapevolmente decidono di non andare a votare, perché credono sia solo la propria persona a poterli rappresentare, e nessun altro!

          In Italia, però, la pratica del non voto e dell’astensione, fino a tutti gli anni ‘80 del Novecento non destò particolare interesse e, proprio per questo, venne tralasciata nelle analisi politiche post-voto.  Ciò perché l’astensionismo si presentava in numeri e percentuali veramente irrilevanti sui processi elettorali. Tuttavia quando poi l’allora segretario del PCI Enrico Berlinguer, nel 1981, portò all’attenzione di tutti la cosiddetta “questione morale”, sulla corruzione della politica e dei politici, gli astensionisti cominciarono a far sentire la loro presenza o assenza alle urne. Ad ogni modo, fu nelle prime votazioni politiche degli anni 90, infatti, che il partito degli astensionisti iniziò ad allargare i suoi consensi. Ma cosa creò questa impennata? La questione pare direttamente ricondursi a quel noto fenomeno che venne definito “Tangentopoli” o “Mani Pulite”, avviato dalle indagini del giudice Di Pietro e che mise in luce gran parte del sistema di corruttele che costellavano il mondo della politica e della vita dello Stato Italiano. Fu quell’avvenimento che nel nuovo ordine internazionale unipolare, per la caduta del Muro di Berlino pochi anni prima, distrusse la maggior parte delle organizzazioni partitiche come noi le avevamo conosciute, o le costrinse a mutare di forma.

          In tale direzione va sottolineato che, la corruzione è sempre stata connessa alla vita dello Stato, sin dai suoi albori, sin dalle sue origini, senza conoscere differenze di territorio e di popolo. Ma, a partire dagli anni ’90 del Novecento qual è lo specifico della novità in merito, in Italia? Ecco, con Di Pietro la corruzione nella vita dello Stato e dei partiti assume carattere spettacolare e di spettacolo nonché strumento di propaganda politica. Non è da escludere che l’attenzione sulla corruzione servì, e forse serve ancora, a nascondere i reali processi di cambiamento del nostro Paese, ben più dolorosi per la popolazione rispetto ai fatti connessi alla corruzione stessa. Nello specifico, la propaganda sulla corruzione servì, e forse serve ancora, per spiazzare l’opinione pubblica e l’attenzione della gente comune rispetto ai grandi cambiamenti in merito al ruolo dello Stato e al ruolo del popolo italiano nel nostro Paese.

          Il risvolto di tale politica, perseguita dai vertici della classe dirigente italiana, fu appunto l’astensionismo, sebbene su tale fenomeno gravino anche altre variabili. Tra queste un ruolo importante lo ebbe la fine della contrapposizione tipica della Prima Repubblica tra Comunismo e Liberismo, due mondi alternativi, che colpì fortemente le idee alla base dei partiti, che si trovarono in una sorta di “liberi tutti” e che videro affievolire sempre di più le loro ideologie, quindi l’orizzonte e le prospettive da trasmettere agli elettori, che rimasero prevalentemente senza un’identità politica e un partito di riferimento.

          Anche i partiti e la politica senza più un’identità chiara contribuirono, dunque, ad ingrossare le fila dell’astensionismo. Quella mancanza di ideologie e di fedeltà a questo o quel partito, di destra o di sinistra che fosse, unite ai perduranti immobilismo e corruzione, hanno contribuito a far montare la sfiducia e l’avversione nei confronti delle istituzioni e di chi le occupa. Da qui la conquista di punti percentuali del “partito” dell’astensionismo: da circa il 13% delle politiche del 1992 a circa il 28% delle ultime elezioni – secondo partito, dopo i pentastellati di Di Maio, nel 2018.

          Sicché, la lotta alla corruzione, come strumento di propaganda, e lotta politica, da un lato e dall’altro i tratti decisamente sbiaditi del messaggio politico dei vari partiti hanno condotto ad una disaffezione al voto, che potrebbe essere tradotto anche come una disaffezione alla democrazia, o al concetto di democrazia, essendo questa oramai molto rarefatta, come il comune lettore potrà valutare esso stesso osservando la realtà dei fatti, dipendendo la vita dello Stato come quella del cittadino comune da decisioni che vengono prese da gruppi ristretti di soggetti, e non sempre in Italia, e comunque al di fuori dello stesso Stato.

Massimiliano Lorenzo

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