Una domenica all’insegna della semplicità e della forza dirompente della tradizione. Il cielo di inizio giugno non promette soleggiate, nuvoloni incombono dietro le cime delle piccole dolomiti di Lucania, ma la festa del Maggio di Accettura ti sorprende come la pioggia che cade con il sole. Ti affacci all’Arena tra una piccola folla di residenti, e un’anziana del posto, sorretta dal suo bastone in legno, ti racconta perché quei tre uomini - il più giovane ha solo 17 anni - si arrampicano a mani nude, protetti soltanto da una rete circense, su un albero dal tronco liscio, alto circa quaranta metri. È la festa del Maggio, conosciuta anche come matrimonio tra due alberi, che ha il suo culmine nella domenica della festa del Corpus Domini, ed era iniziata la prima domenica dopo Pasqua.
Domenica scorsa il grande cerro è stato abbattuto, tagliato e acquistato all’asta in segno propiziatore. Era il cerro più alto, dritto e sano, scelto la prima domenica dopo Pasqua nel vicino bosco di Montepiano, al quale è stata innestata la Cima, un agrifoglio, scelto la domenica successiva nella foresta di Gallipoli Cognato, in un simbolico matrimonio.
È un rito di culto agrario di origini pagane, giunto sino a noi attraverso la sovrapposizione, avvenuta nel XVIII secolo, alla celebrazione liturgica del protettore San Giuliano, e che si tramanda di generazione in generazione, divenendo in questi tempi moderni il simbolo dell’identità culturale degli accetturesi in paese e di quelli che sono sparsi per l’Italia e per il mondo. Non a caso, nell’adiacente piazza del Popolo è issato il Monumento all’Emigrante, una pregevole scultura di Giulio Romano, scultore di origini accetturesi, ricavata da un monolito di 30 tonnellate.
Mentre i tre scalatori si esibiscono in acrobazie che tengono tutti con il fiato sospeso, un signore racconta: “Il Maggio è stato abbattuto il giovedì dell'Ascensione e la settimana successiva è stato trasportato da coppie di buoi fino alle "chiapparedd", un'area a circa 4 km da Accettura. Da qui è ripartito il giorno dopo verso il paese. La domenica di Pentecoste, il Maggio e la Cima sono poi stati portati in processione, con passione e devozione, per un tragitto di circa 15 km fino ad Accettura, dove sono stati issati al centro dell’arena. Durante il trasporto, che dura tutto il giorno, si fanno delle soste negli spiazzi erbosi dove si realizza una tavolata collettiva piena di salsicce, formaggi, frittate, biscotti e bottiglie di buon vino. E infine, verso le 19:00, i due alberi si incontrano e inizia la vera festa di popolo con il compimento del matrimonio. Allievi del leggendario Zizilone, il più coraggioso fra tutti gli scalatori, si sono arrampicati sul grosso tronco sino a raggiungere la chioma”.
Un tonfo interrompe il racconto: tra applausi e gridolini festanti dei bimbi presenti alla cerimonia, il Maggio cade al suolo, guidato sapientemente da un sistema meccanico di ingegneria contadina, e inizia la sua “spogliazione”, con rametti e foglie della cima raccolti e conservati con cura fino all’anno successivo. Un rito semplice nella sua potenza evocativa, un modo per ritrovare nelle tradizioni antiche quello spirito di appartenenza a una terra a volte arida, ma di una bellezza sconfinata quando ci si affaccia dai balconi naturali e lungo le stradine che si arrampicano attorno al paese fino al Duomo, posto in cima all’altura.
La domenica continua nel vicino borgo di Oliveto Lucano, immerso in un silenzio quasi irreale, sotto lo sguardo curioso e interessato dei residenti, nel loro abito della festa, in una semplicità che racchiude una ricchezza incalcolabile: il senso del tempo che scorre lento, lasciando spazio alla riflessione, alle chiacchierate tranquille tra stradine impervie e scorci di incredibile suggestione.
Una coppia di falchi pellegrini volteggia placidamente sui campi e sui boschi, mentre un raggio di sole tenta di bucare un gruppo di nuvole che circonda le cime dei monti lucani. Il silenzio della natura è rotto dallo stridio delle rondini, mentre la gente del posto si riunisce per festeggiare una domenica in famiglia. Andamento lento dei pensieri, in un mondo che sa ancora trovare la felicità nella semplicità delle piccole cose. Casolari in disuso raccontano storie antiche, racchiuse dietro i portoni di Bacco, realizzati con tecniche artigianali di grande pregio, quando il tempo scorreva a un ritmo più a misura d’uomo.
La pioggia comincia a cadere più fitta, provocando il caratteristico odore di erba bagnata, quel preticore, termine che oggi va tanto di moda, attribuito a due scienziati australiani, Isabel Bear e Richard Thomas, che nel 1964 avrebbero dato il nome al liquido oleoso che sgorga da alcune rocce durante i periodi di siccità e che, dopo la pioggia, emana un odore gradevole. Termine che, tuttavia, viene dal greco pétrā, “macigno, pietra”, e ichor, “icore, linfa”, come sangue degli dei.
Senza indugiare nella nostalgia, il richiamo alla semplicità resta una delle chiavi con cui, a volte, è utile e necessario scardinare, anche per poche ore soltanto, la frenesia dei tempi moderni, per andare a cercare quelli che Totò definì “attimi di dimenticanza”.
Matteo Gentile