Nel libro “Il piccolo principe” di Saint Exupery, c’è un dialogo tra il principe e il serpente che ha attirato in modo particolare la mia attenzione: “Il Piccolo Principe finì sulla terra, nel bel mezzo del deserto. “Dove sono gli uomini?” disse il Piccolo Principe; “si è un po’ soli nel deserto”. “Si è soli anche con gli uomini” rispose il serpente”.
Definita un “sentimento o condizione umana”, ha attraversato l’intera esistenza dell’uomo e ancora ci appartiene! La solitudine è considerata un’inquietudine dell’anima, una sconfitta, o addirittura una malattia. È uno stato d’animo in cui si è privi di qualcosa che non si merita. Ricca di aspettative, vive tra le pieghe dei nostri giorni cibandosi di mancanze e delusioni.
Eppure, appare paradossale parlare di solitudine in un’era in cui siamo in contatto giornalmente con amici, persone sui social e condividiamo tutto o quasi tutto di noi. Oggi il cellulare è ormai un compagno perfetto, mantiene di continuo relazioni, contatti, impegni.
E allora come ci si può sentire soli nonostante siamo immersi letteralmente in una moltitudine di gente, contatti e impegni? La risposta alla nostra solitudine è interiore. Credo si possa cercare nelle relazioni aride che tessiamo, prive di comunicazione autentica. Solo gli incontri, le condivisioni, le relazioni profonde ci permettono di colmare quegli spazi interiori che diversamente rimarrebbero vuoti.
Ma non è così semplice: abbiamo il terrore di essere visti e scoperti per ciò che realmente siamo e quindi ci preoccupiamo di apparire come qualcuno che non possa mai essere abbandonato, lasciato da solo. Colmiamo i nostri spazi cercando di omologarci, rendendoci simili agli altri per poi essere accettati e considerati, come ci racconta l’opera di Munch: “Sera sul viale Karl Johan”.
Ma così facendo, siamo realmente con qualcuno in relazione? In realtà con taluni comportamenti ci si allontana ulteriormente dal nostro centro sentendoci poi ancora più soli. L’individualità, quindi, non è considerata una forza, ma è il gruppo che detta gli schemi da seguire, annullando inevitabilmente l’originalità individuale. Ed ecco che le peculiarità di ognuno di noi viene schiacciata dal bisogno di apparire.
C’è un altro aspetto della solitudine che, per fortuna non sempre è negativo: quando la si sceglie consapevolmente. Infatti, nella lingua inglese ad esempio, si usano due termini per parlare di solitudine. Per esprimere una solitudine sofferta e non desiderata si usa “loneliness”, viceversa si usa il termine “solitude” se si riferisce alla scelta positiva di restare da soli. Ed è proprio così, la solitudine ha, dunque, duplici aspetti contraddittori. Due facce della stessa medaglia! Se da un lato ci si sente soli nonostante circondati da persone, dall’altro lato c’è anche chi preferisce stare solo per ispirarsi, per ritrovarsi.
La solitudine, d’altronde, può essere un campo di ricchezza che permette all’individuo di essere ciò che realmente è. Perché, si è se stessi solo quando si è in solitudine. Nel silenzio ci si può mettere ad ascoltare e comprendere i propri bisogni e i desideri più intimi. E ascoltandoci, possiamo evolverci ed esprimere i nostri talenti. La chiave della crescita interiore è il silenzio. A tal proposito, mi torna in mente l’esempio del seme che per germogliare ha bisogno di un luogo caldo, buio e soprattutto ben separato dagli altri semi. E solo nel silenzio della terra che potrà accogliere tutte le risorse per germogliare. Allo stesso modo la nostra originalità, la nostra individualità per esprimersi ha bisogno di restare sola, con le proprie idee, con il proprio sentire, insicurezze o sogni ed è allora che effettivamente si può dar vita al proprio sogno, al proprio progetto.
È sotto gli occhi di tutti che la nostra società tenta di fagocitarci con richieste, status symbol, esteriorità, titoli, e come disse il serpente al piccolo principe che si può essere in mezzo agli uomini ed essere soli… ma dipende esclusivamente da noi quale posto assegnarle. Quindi avere un dialogo interno, poter confidare in noi stessi, arricchire quello spazio individuale e renderlo un capolavoro unico è quello che ci permetterà di viverla come una forza, una peculiarità positiva e non come un limite, sperando sempre che poi anche fra gli uomini ci si possa sentire meno soli.
Perché come da "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello: “La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, e soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate, così che la vostra volontà e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un'incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l'intimità stessa della vostra coscienza. La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l'estraneo siete voi”.
Maria Raffaella Pulli
(Psicoterapeuta specializzata in Psicosomatica, Emdr e Marketing)