Gli anni Settanta, quelli dove “tutto cambia”, sono gli anni delle barricate in piazza, degli scioperi, delle rivoluzioni, già avviate sul finire degli anni Sessanta, sono gli anni della strage di Piazza Fontana, di Lotta Continua e delle Brigate Rosse e di Aldo Moro, ma sono il tempo anche ed ancora dei Figli dei Fiori, delle luci psichedeliche… nascevano le discoteche. Gli anni Settanta sono, poi, gli anni delle radio libere: ufficializzato dalla Corte Costituzionale nel 1976 tale fenomeno dilaga nel Paese. La radio, come canta Finardi nel 1976, libera la mente e la musica si fa ribelle. Nel 1974 Enzo Del Re, che val ben citare, scrive, infatti, Lavorare con lentezza, slogan del movimento extra-parlamentare, utilizzata dalla celeberrima Radio Alice. Lavorare con lentezza è canto di lavoro, la paga dello stesso Del Re (quando si esibiva) e di quella di un operaio metalmeccanico.
La musica diventa, oltre che mezzo di “lotta” anche pretesto di gratuità, di condivisione egualitaria e quindi pure i “compagni” cantautori dovevano essere sempre a “disposizione”. E così, il 1976 diventa l’anno del “democratico” processo sul palco a De Gregori, degli attacchi a Guccini. La pace nelle piazze, tuttavia, la riporta Lucio Dalla con il tour di Banana Republic (visione – premonitoria ed ancora attuale? – di un’Italia come Repubblica delle Banane).
Gli anni Settanta però sono ingrati e nel 1979 si portano via Demetrio Stratos, voce indiscussa, non solo degli ambienti sperimentali, come gli Area, di cui egli ne fece parte, ma di tutta la musica di quelli anni, e nell’agosto, inoltre, viene annunciato il rapimento di De André e Dori Ghezzi, da parte dell’Anonima Sarda.
Un calderone di eventi, gran parte dei quali hanno spesso come perno il Folkstudio di Roma, sorto negli anni ’60 e dove si esibiscono moltissimi dei musicisti e cantanti italiani, non mancando, nel locale, una forte componente internazionali. Nelle sue stanze polverose si mischiano le vite di De Gregori, Lo Cascio, Locasciulli, Venditti, De Angelis, Rino Gaetano, Stefano Rosso, Claudio Lolli e, nel 1973, anche quella di Guccini, che registra qui parte della sua Opera Buffa. Il Folkstudio guarda i volti giovani che caratterizzano quelli anni, tra questi quello di Ernesto Bassignano, probabilmente il più radicale, che realizza un paio di 45 giri di propaganda (pubblicati su etichetta Pci), abbassando i toni nel 1975, con Moby Dick. “Tra le canzoni del Folkstudio” è opportuno ricordare Lella: capolavoro in poesia di Edoardo De Angelis, racconto di cronaca romana, ovvero la confessione di un amante che uccide la donna che voleva lasciarlo. Assonante nel titolo troviamo, nello stesso periodo, anche la nota Lilly di Venditti: era il 1975! Come è ampiamente risaputo, è il racconto drammatico di droga, disperazione e pelli bucate. E siamo proprio negli anni della “generazione scomparsa”, quello della diffusione dell’eroina, che provocò un gran numero di morti, tutti ragazzi giovanissimi.
La canzone riesce con la sua immediatezza ad arrivare al pubblico: antro certo e sicuro dove ritrovare i propri pensieri. Tra il 1975 e il 1978, dalla Roma del Folkstudio agli studi di Sanremo, arriva Rino Gaetano: le utopie rovesciate, la capacità di beffeggiare tutto quello che lo circonda, dagli anni che vive, alla televisione, alla stessa canzone. Gaetano è uno di quelli che 1978 porta sul palco di San Remo, Gianna, da lui stesso definita insignificante, perché ritiene inutile la pagliacciata del Festival; canta l’Italia in Aida, l’elenco sgangherato di una serie di nomi, spesso utilizzando la nomenclatura italiana, intervallandoli con Nun te raggae più. Questo e molto altro è stato Rino Gaetano, voce del Sud, breve presenza sulla scena degli anni Settanta.
Se scrivessimo anni Settanta, però, dovremmo scrivere anche progressive, rock e avanguardia. Impossibile non scrivere, Area. Dall’anno del loro primo album (Arbeit Macht Frei), correva il 1973, dove la nota introduttiva del primo brano si traduce come una solidarietà alla lotta armata del popolo palestinese, si proiettano in un discorso a contenuto fortemente culturale ed intellettualizzato. Sono audaci, e coltivano la musica, infatti, come espressione senza confini, e sperimentano la canzone, mettendone in discussione la sua stessa forma.
Probabilmente, però, è obbligo racchiudere e, qui chiudere, gli anni settanta con le “storie” di Pierangelo Bertoli, colui che è riuscito, indomito guerriero, a raccontare nelle sue canzoni il lavoro del cantante, l’attenzione all’ambiente, la critica alla società capitalistica, la cupidigia sempre più smaniosa dell’uomo. Eppure Bertoli sa farci ancora respirare con il vento, ricordandoci che, A muso duro, la lotta continua…
Francesca Greco