Cantautori: c’era una volta Genova – Francesca Greco

Cantautori: c’era una volta Genova – Francesca Greco

                La canzone italiana, ed in particolare il cantautorato, ancora oggi trova la sua culla più naturale e congeniale nella “scuola genovese.” Viene spontaneo chiedersi il perché di tale vocazione di questo antico centro italiano, che sin dagli anni ’60 dello scorso secolo ha espresso eccellenze di rilievo nazionale ed internazionale. Innanzitutto, un ruolo di spicco l’ha svolto e lo svolge il Festival di Sanremo, che lancia i primi interpreti di propri motivi, quali Modugno, Bindi, Gaber e Celentano.

               Fondamentale per i cantautori della scuola genovese è la vicinanza alla Francia, quella appunto di Brel, Brassens e Aznavour. Non è sufficiente, tuttavia, fermarsi qui, per raccontare la formazione cantautorale. Molteplici sono anche le influenze ascrivibili alla letteratura italiana, quale appunto quelle di Caproni, Calvino, Sbarbaro, Mannerini. Ma c’è di più. Un ruolo di rilievo lo svolgono in tale direzione anche i letterati novecenteschi francesi ed inglesi. Tra questi ricordiamo in ordine, Jean-Paul Sartre e Raymond Queneau. Anche la filosofia anarchica ha dato il suo contributo, in particolare, con Tenco, De André e Paoli, ai quali si sono associati il liberale Bruno Lauzi e il folkman statunitense Bob Dylan.

               Gli anni ’60 sono, tra l’altro, gli anni della Beat generation che coinvolgerà anche gli autori italiani. In particolare, sia Lauzi che De André scrissero diversi testi utilizzando il dialetto ligure, rendendo i testi maggiormente pregni di rara intensità. Il mare, poi, resta tra i temi più cantati.

                 Fra i primi a imprimere un deciso rinnovamento ai temi della canzone c’è Gino Paoli. Nel 1960 incide La Gatta, che con motivi da canzonetta, di fatto nella realtà si pone quale metafora di una vita più libera e meno condizionata da quel benessere invadente. In Paoli, infatti, si identificano molti giovani che vivono sulla loro pelle quel passaggio fra gli anni Cinquanta, ancora retaggio di un dopoguerra un po’ provinciale e depresso, e la modernità emergente degli anni Sessanta. Le canzoni di Paoli sono come delle preziose miniature medievali, spesso legate ed ispirate alle passioni amorose in particolare per la Vanoni e per la Sandrelli. Senza fine e Sapore di sale restano, infatti, dei brani d’amore certamente senza tempo.

              La svolta di Paoli, però, si ha dopo l’incontro con Mina. A lei viene affidata una perla, Il cielo in una stanza. Brano che resta in classifica per settimane, permettendo a Gino Paoli di farsi conoscere dal grande pubblico. Il cielo in una stanza, dai toni soffusi, rarefatti e, assieme, da incanto, racconta di un orgasmo, avvenuto, forse, in un bordello. La figura delle prostitute, tra le altre, sarà poi raccontate anche da un altro genovese: Fabrizio De André. Ad ogni modo, poi, nel 1963, Gino Paoli dà alla luce Sapore di sale. Un brano, questo, che sin da subito, risuonò bene nella vita degli italiani, ma non in quella di Gino Paoli, che, invece, proprio in quell’anno tenta il suicidio. Dopo quell’episodio segnante, Paoli compone brani di grande intensità, resi ancora più preziosi dalla collaborazione con il maestro Ennio Morricone. Sebbene eccelse, le canzoni non riscossero successo sul piano commerciale e fecero sì che si aprisse un periodo sfortunato sotto i profili professionale e personale.  Saranno gli anni ’80, poi, a riportare sulla scena il nostro grande Gino Paoli.

            Negli stessi anni, si presenta con il sax e atmosfere tenebrose e passionali, combattuto e polemico Luigi Tenco, che approda nel 1959 a Milano, dove stringe un’amicizia che durerà nel tempo con Piero Ciampi e Reverberi. Nel 1962, Tenco pubblica Mi sono innamorato di te, Angela e Cara maestra, dove emerge la critica verso le istituzioni scolastiche, i preti e le istituzioni. La sua Un giorno dopo l’altro diventa la sigla della celebre serie Il commissario Maigret. Testi come Lontano lontano, Vedrai vedrai sono lo specchio di un’esistenza fragile, inadeguata, una precisa visione della vita lontana da ogni conformismo.

            Nello stesso anno di Tenco, Sergio Endrigo -istriano, adottato dalla scuola genovese- scrive Io che amo solo te. Nei suoi testi troviamo Pasolini (Il soldato di Napoleone) e cronache di vita, quali Via Broletto e Teresa: storia della verginità persa, con cui Endrigo allontana secoli di maschilismo. È un cantautore impegnato, si pensi a Girotondo intorno al mondo ma anche a La ballata dell’ex, ovvero la delusione dei partigiani che non vedono gli ideali per cui hanno combattuto. Nel 1968, con Canzone per te è il primo cantautore a vincere Sanremo.

           Nel 1968 Fabrizio De André aveva già alle spalle qualche anno di canzoni e pubblica Tutti morimmo a stento. Qui il tema della morte è al centro del concept album, quella psicologica appunto, come dirà, poi, lo stesso De Andrè. Fondamentale è l’apporto alla produzione dei fratelli Reverberi, il sodalizio con Riccardo Mannerini (Cantico dei drogati) e Giuseppe Bentivoglio. I personaggi dei brani, poi, sono molteplici e sono quelli che Fabrizio proporrà nei suoi testi nel corso della sua carriera. Ovviamente sono i diseredati. In un momento storico come il Sessantotto, infatti, in Tutti morimmo a stento è un monito, forse il monito alla reazione, a suo sostegno: “quando tu perdi un lavoro, quando tu perdi un amico, muori un po'; tant'è vero che devi un po' rinascere, dopo.”

Francesca Greco

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