Sia avvia col racconto di Rossella Maggio, scrittrice leccese, la nuova rubrica di Venti di Ponente focalizzata sulla narrativa d'appendice. E ciò in armonia con il taglio fortemente culturale del nostro giornale, il quale non poteva non contemplare anche la narrativa stricto sensu, essendo questa uno degli assi portanti suprattutto della nostro patrimonio intellettuale.
Buona lettura...
Pompea Vergaro
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UN SOLO ABBRACCIO (parte prima)
L'aveva visto da lontano, mentre s’intratteneva in chiacchiera con le amiche, nel cortile antistante alla scalinata che conduce alla sala Maria D’Enghien, all’interno del castello. Ci era andata per visitare la mostra dedicata a Chagall, evento irrinunciabile, per chi come lei, in quei giorni, si trovava a Lecce.
“Interessante, eh?” ammiccava Lea.
E di rimando, Isa: “Eccome! Che meraviglia avere l’opportunità di avere qui
dipinti del maestro… l’ho trovato stupefacente!!!”
“Da urlo?” Interrompeva, Giulia.
Si limitava ad annuire, Anna, mentre lo sguardo le correva a quella fisionomia che si avvicinava piano, permettendole di metterla lentamente a fuoco. E intanto i ricordi come uccelli in fuga matta tra le sbarre, le attorcigliavano i pensieri, le accendevano il sangue e mandavano in subbuglio lo stomaco, stringendole la gola. Poteva essere davvero lui, Marco? O solo uno che gli assomigliava? Ma no! Ma no! Il Marco che ricordo io, ora vive a Singapore, dove lavora per una multinazionale.
“Anna, ci sei?” Le si parò davanti Lea. “Certo, certo… tutto bellissimo, emozionante…” riuscì a dire spostandosi di lato quel tanto che bastava per cogliere un gesto così familiare da mandarle in tempesta il cuore: lo sconosciuto si ravviava i capelli, quelli rimasti, il ciuffo sottile e imbiancato, proprio come avrebbe fatto Marco. Come Marco, anni prima, tante volte aveva fatto, davanti a lei, soprattutto quando si sentiva in difficoltà. Quando era preso da pensieri poco piacevoli o dal timore di qualcosa. Amici. Amici e basta, erano stati allora. Bambini e semplici, uniti dal piacere di dividere le prime avventure della vita, eludendo il controllo degli adulti. Ragazzetti che si prendevano per mano, con un sorriso d’intesa negli occhi, un sorriso che era pura allegria, gioia sorgiva e incontaminata, e scappavano ad esplorare giardini abbandonati, chiese sconsacrate, resti di necropoli invasi dalle erbacce. Nella luce chiara di quel pomeriggio estivo, il pulviscolo ricongiungeva immagini di mani strette e sudate nella corsa per tornare a casa e non essere sgridati, dopo essersi attardati ad ammirare il crepuscolo, essersi confidato un desiderio, scambiato un sogno… E da quel pulviscolo dorato sorgeva, materializzandosi, la figura di Marco, alta e trasformata dagli anni, ma riconoscibilissima nell’andatura e nei gesti: “Anna!” Sei proprio tu?!” Anche lui non s’era sbagliato, allora! Quei capelli! Quegli occhi stretti a fessura, quando guardavano lontano! Quelle labbra semiaperte nella concentrazione dell’attesa! Così la ricordava, quando le dava appuntamento all’angolo di una strada, e poi di corsa insieme a inventarsi l’avventura da vivere in pace, al riparo del mondo degli adulti.
“Mio Dio! Sei una donna, ora!” Lei recuperò all’istante la fresca allegria con cui era solita rispondergli: “E che t’aspettavi? Che mi fermassi così com’ero, ai riccioli d’oro e alle tettine piatte?”
“E` passato qualche anno?” fece lui, ridendo.
“Anna, ma chi è questo strafigo? Perché te lo tieni per te e non ce lo presenti? Lea e le altre li circondarono, in un coro di spiritosaggini: “Dov’eri nascosto bel Marcantonio?” gli tese la mano, Isa.
“In effetti solo Marco, senza Antonio, piacere di conoscerti!”
Dopo esserselo ripassato dalla testa ai piedi con una lunga occhiata ammirata, Isa si rivolse ad Anna: “Non mi dire …?!!”
“Non te lo dico, infatti: è un amico, un amico d’infanzia”, disse “me lo ritrovo davanti dopo anni e devo convenire che è uno splendore!”
“Dev’essere cambiato qualcosa in questa città”, sorrise lui, “un tempo erano gli uomini a fare questo genere di complimenti”. Poi, aggiunse: “Posso offrirvi un caffè?”
“Prima vieni a dare un’occhiata a queste!” Anna lo tirò per la manica della giacca, costringendolo ad avvicinarsi ai resti delle tombe messapiche portate alla luce nel cortile della costruzione che li ospitava: un avamposto militare, più che un vero maniero, che l’imperatore sul cui regno non tramontava mai il sole aveva fatto erigere a difesa di un territorio, parte dei suoi domini. Per Marco fu come andare indietro negli anni. Si rivide appena dodicenne, dentro la canicola di un pomeriggio d’agosto, a cavallo di una bici scassata, con Anna ritta in piedi, le mani appoggiate alle sue spalle adolescenti, che gli impartiva ammonizioni ridendo: buca a destra, ore tre! Attento! Spuntone a sinistra, ore nove! Ma dove vai? Aiutoooo, così mi fai cadere!!!! E giù nel fosso entrambi, fra erbacce e terrapieni, all’interno di uno strano contenitore che aveva tutta l’aria di essere un antico sarcofago privo di pietra tombale. Dei Messapi, antichissimo popolo proveniente dall’Illiria e stanziatosi in Puglia intorno all’XI secolo avanti Cristo, non avevano sentito parlare nemmeno a scuola e dunque la scoperta di quella che poteva essere una tomba gli era sembrata tutta propria. Eccitante quanto il colare a picco del sole sull’orizzonte degli ulivi in fondo alla campagna deserta, un velo di polvere alzato dallo scirocco radente sui sassi e gli sterpi. Riemerse da quei ricordi, gli occhi affondati negli occhi di lei, solo per incontrare quella sua risata forte, fresca, ancora intatta e infantile: “Bei tempi, eh? Quante ne abbiamo scoperte di queste, noi due, allora?”
“Non sapevamo bene neanche cosa fossero, ma che affascinante mistero irradiava da quei fossi!”
“Il senso della vita e della morte che si affaccia alla coscienza ancora intatta di due adolescenti, animati dal desiderio della scoperta…”
“Ma che discorsi fate?!” Si intromise, Giulia. E il coro delle amiche si levò unanime: “Allora, questo caffè?”
CONTINUA…