Qui, il secondo appuntamento con la "Narrativa d?Appendice" per godere del racconto di Rossella Maggio, che si snoda in sette puntate, pubblicate ogni il sabato mattina.
E Lea, credendolo forestiero, si lanciò in un ‘apologia della bevanda più conosciuta al mondo: “A Lecce non è come al nord, dove se chiedi un caffè in ghiaccio ti portano il caffè freddo. No, qui vige, peggio o meglio che a Napoli, di cui in un recente passato la città fu appendice, la cultura del caffè, che si può preparare e gustare in mille modi diversi: caffè ristretto, caffè lungo, caffè decaffeinato e caffè corretto per gli abitudinari, caffè al ginseng per i nostalgici d’Oriente, espressino, espressino decaffeinato per i più esigenti, mousse di caffè o nocciolino per i golosi, caffè corretto, caffè shekerato, caffè shcek bayleis per chi ha bisogno di sentirsi sferrare un pugno nello stomaco, e infine, per le giornate più calde, caffè in ghiaccio, variamente interpretato, ma a cui un goccio di latte di mandorla conferisce il tocco da maestro.”
“Dalla varietà dell’offerta del caffè s’indovina l’indole di una città, la si scopre compiacente e libera, con una vocazione al gusto della vita che miete le riserve come spighe, nel giugno dei colori e della luce”, la interruppe Marco.
Due mani, quelle di Anna, si incontrarono in un ritmo festoso contagiando l’applauso all‘intero auditorio, ora anche composto da passanti e conoscenti, attratti dalle amichevoli declamazioni.
“Ma allora sei dei nostri!”
“E che credevi, che fossi nato a Singapore?” Fece, Marco, ridendo. E aggiunse: Te le Lecce suntu!”
Camminando, intanto, avevano raggiunto Piazza Sant’Oronzo, dove presero posto ai tavolini dell’Alvino, tra i primi e più rinomati Caffè che la tradizione leccese annovera nei suoi annali. Lo scenario che avevano di fronte e che continuava sotto ai loro piedi era quello dell’Anfiteatro romano. Prendendo gusto nella sfida culturale, Lea, che insegnava Storia delle tradizioni locali all’Università del Salento, prese a dire: “Pare che l’imperatore Augusto, dovesse sbarcare nel porto di Brundisium, la messapica Brunda, ma che, allertato dai suoi riguardo una congiura ai suoi danni, avesse riparato a Lupiae. In cambio dell’ospitalità ricevuta, avrebbe poi deciso, la costruzione sia dell’Anfiteatro, che del più piccolo Teatro, impropriamente chiamato Greco e, forse anche di un tempio dedicato ad Apollo”.
“Ci diamo sotto, eh?!” La interruppe, Anna, con accanto il cameriere in paziente attesa della comanda. Seguì un fitto cicaleccio di richieste, incrociate e repentinamente contraddette, che ebbero l’effetto di mandarlo nella più totale confusione, fino a che, esausto, il ragazzo non fu in grado di impossessarsi delle volontà del gruppo. Ci fu un infittirsi di battute spiritose fino a quando le amiche, ad una ad una, non trovarono il modo, chi per un impegno reale, chi con un pretesto, di lasciarli soli. Anna e Marco, rimasero seduti a lungo a chiacchierare, scambiandosi i ricordi: “Gli anni settanta… che tempi! Il Bar Poker, ritrovo delle sere, fra amici.” Sorrise Marco. E Anna, di rimando: “E Raphel, appena un decennio dopo, quando costruirono Piazza dell’Alleanza, fino ad allora, quadrato incolto e polveroso, tra i palazzi alti, terreno di accesi scontri calcistici tra squadrette di ragazzini che per delimitare le porte, usavano due pietre.”
“Ancora non si usava andare nei locali. O meglio i locali, pub, pizzerie e ristorantini ancora non avevano invaso il centro storico, come oggi.”
“È vero, Anna! Le feste da ballo si facevano ancora in casa! C’erano pochissime discoteche e non erano in città.”
“E il mare…Che estati lunghe fino al primo ottobre. La scuola iniziava tardi allora…”
“Nello Ionio il sole, in uno squarcio d’oro rosso, di indaco e di lilla, colava a picco che erano le otto di sera e noi ancora a giocare a pallavolo in acqua …”
“E già: non avevano ancora inventato, per noi salentini, il beach volley!”
“Prego”, li interruppe il ragazzo, che era sopraggiunto con il conto. Si guardarono negli occhi: è così bello, essersi ritrovati, così inaspettato, si dissero senza parlare. Perché non proseguire insieme, la serata? Nessuno dei due ebbe bisogno di attendere l’assenso, che correva felice da uno all’altra, nei gesti, nell’intonazione della voce, nell’ammiccare spiritoso e complice degli sguardi. Presero a camminare per le viuzze del centro storico. All’altezza del convitto Palmieri, improvvisamente, Anna lo tirò per la manica della giacca: “Vieni”, disse piano, “guarda un po' a chi è dedicata questa mostra!”
“No. Non ci posso credere!” Un’espressione di sorpresa e stupore passò sul volto di Marco: Il pittore pazzo, così lo chiamavano tutti, Edoardo De Candia!”
“Se ne andava in giro, coperto da pochi stracci, incarnando l’innocenza della nudità, che rivelava nei pochi tratti di una semplicità infantile, non per questo meno aderente al vero, con cui componeva i suoi dipinti.”
“Eccotelo diventato Il Mito, così titolano i cartelloni pubblicitari di uno spettacolo teatrale a lui dedicato, che si tiene proprio in questi giorni al Teatro Apollo.”
“Lo hanno restaurato?” Chiese Anna.
“Altroché! E` la prima cosa che mia sorella, Paola, mi ha portato a vedere, appena ho messo piede a Lecce”, disse allegramente Marco.
CONTINUA…