Qui, il quarto appuntamento con la "Narrativa d'Appendice" per godere del racconto di Rossella Maggio, che si snoda in sette puntate, pubblicate ogni sabato. Buona lettura...
“Dai, Anna! Che fai lì impalata! Vieni a vedere: questa mi sorride proprio”, aggiunse, “vuoi vedere che il tesoro lo dà proprio a noi?” La risata di lei era risuonata per le stanze, mentre correva verso l’entrata, verso la luce e lui subito dietro: “Che? Avevi paura, forse? Delle fate? Ma dai!” Ma un’atmosfera strana era calata tra loro, un incantesimo di labbra che si muovevano nel silenzio, ogni cosa che svaniva intorno, suoni luci, colori, solo l’immensità degli occhi negli occhi, fermi come l’eternità. Così, adesso: quell’eternità continuava a tenerli inchiodati e s’era fatta densa. “Ma non mi stavi a dire di te?” Si riscosse come da un sogno.
“No. Ho trovato me stessa…” Quel modo di rispondere, dopo una lunga divagazione, di riallacciare un discorso, un pensiero, come se la continuità di un ragionamento non fosse mai stata spezzata dalle parole cadute, come giochi d’immagini, divertiti balocchi, tra due persone…era proprio lei, senza dubbio alcuno, Anna. La ragazzina di allora, la sbarazzina di sempre, anche con qualche filo bianco tra i capelli e le rughette d’allegria intorno agli occhi, sciabolate d’energia bruna, tra le ciglia scure. In risposta le arrivò una briosa fucilata d’iride: “E come sta?” la battuta era troppo golosa per farsela scappare.
“Chi?” Lei finse di non capire.
“Te stessa…”, scherzò Marco, “l’hai trovata in salute, si è sposata, ha avuto
bambini, è partita per il Venezuela, si è persa sulle tracce di un capo
indiano…”
“Ha sconfitto un vampiro e coltivato fiori in Romania, ha allevato un frutto
Esotico che poi si è trasformato in un magnifico vecchio tibetano, e
scalando nuda le montagne dell’eros, si è bagnata nei laghi puri e
trasparenti delle verità nascoste…”
“Ferma! Ferma …” gridò divertito “Mi sono perso qualche fotogramma!”
E giù a ridere entrambi. Poi lei disse seria: “Ho capito che sono felice. Tutto
qui.”
“E prima non lo sapevi?”
“Ero convinta di dover cercare. Sempre cercare. Qualcosa che poi avrei trovato, ma dopo tante tribolazioni o felici esperienze.”
“E non è così?”
“Le tribolazioni e le felici esperienze ci sono state e ci saranno, ma ora sento che niente mi smuove dal mio asse e dalla mia felicità profonda di essere, nel bene e nel male me stessa.”
“Vale per tutti.”
“Sì, vale per tutti. La differenza sta tra il capire e il sentire: questo fa il sapere.”
Un tempo se la sarebbe presa, magari scherzandoci su, ma l’avrebbe detto: “Ma ci te supporta, a tie, tutti li giurni?” Tanto per non dire quanto sei arrogante, quanto sei presuntuosa! Però, dopo tanti anni, la felicità di rivederla e, con lei, di ritrovare il profumo gradevole di un passato spensierato prevalse sulla sua suscettibilità unita alla tendenza al giudizio feroce, privo di attenuanti. Anna lo sapeva e se n’era sempre infischiata. E un’ombra le passò sul viso, nell’attesa della sfuriata che, inaspettatamente, non venne. Sollevando un sopracciglio chiese: “Hai imparato a tacere o sei cambiato?”
“La prima e non sempre!” Rise lui.
“Io neanche la prima…” lo stuzzicò Anna.
E aggiunse: “Ci megghiu te nui?”
“Ma di te ancora non mi hai detto nulla, invece.”
“Vittorie e sconfitte, matrimoni e divorzi, figli, compagni ed amici, malattie e guarigioni, morti e resurrezioni...nulla è mancato”, rispose, “Ma, come ti ho detto, ho trovato una mia pace, un mio equilibrio, forse congenito, ma che nel marasma delle esperienze ha spesso rischiato di saltare.”
“Sarà la vecchiaia…” la canzonò. Intanto avevano preso a risalire Corso vittorio Emanuele fino a Porta Rudiae. “Sai che hanno scoperto un nuovo grande anfiteatro a Rudiae, appena qualche chilometro fuori le mura dell’antica Lupiae?”
“Peccato, stavolta ci siamo persi il primato della scoperta!” Poi, passando di palo in frasca, com’era solita, Anna disse: “Ti ricordi il Gipsy Gim, la piccola discoteca che aprì in via Novantacinquesimo Fanteria, a fine anni Settanta?”
Che ci azzeccava in quel momento quella divagazione, Marco non riusciva a capirlo.
“M’è venuta in mente, così, pensando che anche quella fu una delle nostre prime avventure e scoperte…”
“Io, di sicuro, scoprii che mi piacevano da matti i Queen, Fred Mercury e la sua I Wont’t to break free…”
“Ma quello fu già più tardi, stai parlando degli anni Ottanta…”, lo interruppe, “e dove li metti allora i Dire Straits? Sultans of swing?
Marco non fu da meno: “Bohemian Rhapsody!”
“Romeo and Juliet!” Rispose, rapida, Anna.
“Don’t stop me now…!!!”
“Carlotta Paiano…”
Marco, stavolta, non poté fare a meno di contrariarsi: “Cosa c’entra, ora, il più famoso transessuale di Firenze?”
“E` che, dopo il Gipsy, m’è venuto in mente il Grunt, altro locale leccese alla moda che lei frequentava. Lo conoscevamo tutti, a Lecce, Carlo Paiano, uno dei primi che ebbero il coraggio di affermare la propria natura, o quanto per tale di sé accettava, prima che i tempi fossero maturi.” Era stata poi Carlotta, bellissima e affascinante, la perversa e ambigua regina delle notti fiorentine, il mondo ai suoi piedi. Un’ora d’amore con lei, che non tutti potevano permettersi, era il sogno erotico di molti, se non di tutti. Ma aveva anche un cuore d’oro, Carlotta, e la sera in cui in Piazza Sant’Oronzo si sparò, durante un comizio, riuscì a salvare, facendolo salire al volo sul suo ‘Ciao’, un sedicenne inseguito dai facinorosi del Movimento Studentesco e di Lotta Continua armati di pistole, chiavi inglesi e bottiglie molotov. Ci mise tre giorni l’odore della morte ad allertare le narici dei vicini, ricordò Marco, lo lessi sui giornali meno di un anno fa. La trovarono così, la Dea dell’amore, invecchiata e sola, abbandonata a sé stessa, morta nella più totale solitudine, indifferente al suo inarrestabile declino tutto il bel mondo che l’aveva vista splendida protagonista delle sue scelte di vita.
CONTINUA…