Anna Rita Merico vive in Salento. Originaria di Nola, nel napoletano, patria di Giordano Bruno e Pomponio Algieri, si è laureata in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli. Insegnamento e ricerca, sugli studi legati alla conoscenza del pensiero femminile nei secoli, sono stati il suo pane quotidiano, così come anche un’intensa attività di saggista. Ma l’indagine poetica, da sempre praticata, è divenuta nel tempo la pietra angolare della sua attività creativa nella quale far confluire la pienezza osmotica generativa di conoscenza filosofica e poesia.
All’interno di questo succinto perimetro, Fenomenologia del Silenzio, ovvero il sigillo del suo ultimo volume di poesia edito da Musicaos, è un’opera complessa e imponente, meritevole di un’attenzione più che approfondita, che esula dalle succinte pagine di una rivista online, nelle quali fugaci cenni si sforzano di farne una sintesi comprensibile. Riunisce, infatti, tre sillogi succedutesi dal 2004 al 2021 opportunamente riviste e precisate nel loro significante poetico, fino al cesello del simbolo e del segno: Segnate pietre (2004); In the process of writing (2006); Dall’angolo bucato entra memoria (2015); vi si aggiunge una ricca selezione di testi inediti intitolata Una parola si bea, al sole, pulsando infinita (2019-2021). Qui ci si soffermerà sulla Merico solo attraverso i suoi versi a pagina 57.
Tutto, ma senza pretesa di esaustività da parte di chi scrive, perché in altra sede tanto ci sarebbe da dire e condividere riguardo la potenza evocativa di questa autrice (basti pensare, tralasciando il corposo snodarsi del pensiero gravido di profonda preparazione, alla cura raffinata nella disposizione del verso all’interno della pagina) sembra ruotare intorno alla forza generativa del silenzio, dal cui abisso gocciola e coagula sanguigna, carnale e incarnata la parola, quale originaria, cui noi non solo tentiamo di andare incontro, ma dalla quale siamo incontrati, e insieme a noi tutto lo svelarsi dell’essere si rende pulsante e vivo. Questa epifania del noumeno, afferrato a tratti e brandelli, costa la fatica del dire, del dirsi, del nominare, del lasciar sgorgare e del lasciare che venga alla luce. Quale delle tante possibili realtà? Tutte e nessuna, le quali insieme rifluiranno nella nudità essenziale e vivente della parola, una volta cavatasela dal di dentro, gemmante, per dischiuse labbra di tempo, dalle profondità vulvari umide e morbide del silenzio: dal centro di un molle grumo/ tiro la nascita a me lasciando che rivoli d’acquatico/ pensiero/ defluiscano dalle dita.
ROSSELLA MAGGIO