Il paesaggio agrario in Italia e nel Salento è patrimonio storico, culturale e ambientale anche se il più delle volte non ci accorgiamo neppure della sua esistenza, non percepiamo né la ricchezza di beni, né l’importanza socio-economica e ambientale di tali valori per il nostro territorio.
Tuttavia, osservando attentamente il Paesaggio che circonda i nostri paesi, così come quello urbano, ci accorgiamo che è fortemente connotato dall’attività agricola che, nel corso dei secoli, ha profondamente trasformato il substrato naturale. Pertanto, con quella curiosità della riscoperta che mi appartiene, mi sono avvicinata alla lettura del libro di Antonio Costantini, Guida all’architettura contadina del Salento, edito da Congedo, che con meticolosa attenzione storica ricostruisce un’identità a volte dimenticata.
Il libro, corredato da un ricco repertorio fotografico, si articola in otto parti ciascuna dedicata ad una costruzione architettonica: i muretti a secco, i forni di campagna, le aie, i pollai, le neviere, gli apiari, le torri colombaie, i trappeti. Ognuna di esse, come tante stazioni che segnano un viaggio, concorre a raccontare la storia di un legame antico tra il contadino salentino e la sua terra. È questo forte legame che ho ripercorso sulla base di queste indicazioni e su quelle di un caro amico che mi ha riavvicinata al nucleo fondativo della campagna salentina, alla sua vera essenza come quando “i vecchi contadini” piangevano per la perdita di un solo albero e si dedicavano alla terra con passione, dedizione e riconoscenza, segnando i volti di quel paesaggio salentino che ho visto rivivere anche sul suo volto.
Il territorio salentino è caratterizzato dalla costituzione litologica, ossia da rocce e dalla presenza di calcare compatto che hanno determinato la fisionomia del suo paesaggio definito da Cesare Brandi “un’orgia di pietra” o per usare le parole di Girolamo Comi un “ossame di natura”. Per secoli i contadini si sono confrontati con l’asperità di questo territorio che se da un lato ha impedito attività agro fondiarie più redditizie, ha però permesso la materia prima per la realizzazione di case, muretti a secco, selciati delle strade, mentre un'altra tipologie di pietra quella “leccese” ha consentito la produzione artistica e la realizzazione dell’architettura barocca.
Un’espressione molto significativa del rapporto uomo ambiente è determinata dalle costruzioni note con vari nomi: pagghiari, trulli, chipuri, turri, caseddhe, che i contadini utilizzavano come ricovero temporaneo e deposito per gli attrezzi, restando, oggi, testimoni della presenza operosa dell’attività contadina nel nostro territorio. Una tecnica edilizia, quella della costruzione, che si è tramandata di padre in figlio realizzata quasi in maniera istintiva attraverso la sovrapposizione di conci disposti a secco su piani orizzontali e chiusi da una lastra di pietra più grossa. Queste strutture hanno una forma troncoconica o troncopiramidale singoli o a coppia. Le pietre sono state utilizzate anche per la costruzione dei muretti a secco, usati per delimitare i campi, le proprietà e i pascoli.
Altra testimonianza del lavoro agricolo sono le aie, oggi prevalentemente diroccate, abbandonate e in disuso. L’Aia serviva per la trebbiatura ovvero la battitura del grano e del frumento, durante il cocente mese di giugno, per ricavarne pane, pasta e altri derivati.
L’aia era composta da lastre di pietra rocciosa, dette “chianche” sulle quali si disponevano i fasci di spighe; in genere avevano una forma circolare, più raramente di forma quadrata o ottagonale.
Singolare testimonianza dell’uso della pietra a secco sono la costruzione di pozzelle. Scavare dei pozzi o cisterne nella roccia friabile è un’usanza antichissima, utile per raccogliere e conservare l’acqua piovana in un territorio privo di acqua in superficie. Al fine di evitarne l’evaporazione e preservarne la potabilità, venivano scavati dei pozzi e rivestiti, a cerchi concentrici restringentesi verso l’alto, con pietrame a secco. Sull’ultimo anello di pietra era posto un grosso blocco lapideo forato al centro che costituiva la bocca o "vera" del pozzo. Anche le neviere raccontano delle difficoltà che gli agricoltori hanno affrontato per la scarsità di acqua. Le neviere erano utilizzate per costruzione che è possibile ancora osservare nel territorio salentino in cui si conservava la neve ed il ghiaccio da utilizzare nel periodo estivo per uso alimentare ed igienico. Venivano scavate nella roccia ad una profondità compresa tra i cinque e i sei metri, hanno pianta quadrata o rettangolare e sono coperte da una “volta a botte”.
Un altro aspetto imprescindibile della cultura economica e sociale del Salento è il “trappeto” sotterraneo. Si tratta dei tradizionali frantoi ipogei, che venivano scavati nelle rocce per la resa termica della roccia. L'olio, infatti, diventa solido verso i 6° C. Pertanto, affinché la sua estrazione fosse facilitata, era indispensabile che l'ambiente in cui avveniva la spremitura delle olive fosse tiepido; quindi in un sotterraneo, riscaldato dai grandi lumi che ardevano notte e giorno, dalla fermentazione delle olive e, soprattutto, dal calore prodotto dalla fatica fisica degli uomini e degli animali. E ancora possiamo imbatterci nelle torri colombaie, costruzioni di origine Medioevale che si erigono maestose nel pianeggiante territorio salentino, costruite per volontà dei signori locali di offrire un riparo per l’allevamento dei colombi, simbolo di prestigio ed eleganza. Queste strutture sono generalmente basse, dalla pianta tonda o quadrata e dotate di una scala interna a spirale.
Il Paesaggio è l’espressione di un conflitto non solo di una sintesi tra l’azione dell’uomo e quella della natura, un conflitto per la sopravvivenza e il benessere per cui il Salento, con la ricchezza della sua architettura contadina ci narra la Storia delle dinamiche tra conflitto e armonia, un modo utile per conoscerlo, preservarlo e amarlo.
Pamela Serafino