Per questo fine settimana autunnale, nel quale si è soliti fare piccole gite fuoriporta, la Nostra rubrica A Spasso per la Puglia propone due mete in provincia di Lecce, che si presentano molto particolari, perché riguardano il passato recente della storia salentina: Monteruga e Cardigliano. Sono questi due centri rurali sorti negli anni Trenta del secolo scorso e sono rimasti attivi per poco meno di cinquant’anni. Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, dopo aver raggiunto, nel periodo di massima espansione, una popolazione che sfiorava le mille unità, lentamente Monteruga e Cardigliano si sono spopolati, fino ad essere completamente abbandonati.
Il primo si localizza a Nord della provincia di Lecce, a metà strada tra Veglie ed Avetrana, mentre il secondo a Sud, tra Specchia e Taurisano. In ambedue i centri rurali vi sono la Chiesa, le abitazioni più signorili dei dirigenti dei centri, la stazione dei carabinieri, la posta, le abitazioni dei braccianti, le stalle e i magazzini di stoccaggio, i locali per la lavorazione del tabacco. Se Monteruga, tuttavia presenta una struttura edile e architettonica abbastanza articolata, Cardigliano si snoda tutta attorno ad una enorme piazza rettangolare.
(Cardigliano)
La nascita di questi due centri può essere accomunata ad altri centri simili esistenti in provincia di Lecce, tra i quali, Borgo Piave e Montegrappa, che, frazioni della città di Lecce, hanno avuto sorti migliori, ma non di molto. E però, rispetto a tutti gli altri centri, Monteruga e Cardigliano presentavano una spiccata, sebbene non esclusiva, specializzazione produttiva. Erano in effetti due centri importanti per la produzione e la prima lavorazione del tabacco.
(Monteruga)
In molti fanno risalire la nascita di questi centri agricoli, a seguito della politica autarchica e di ruralizzazione del Governo Fascista. Ma tutto ciò è molto riduttivo e troppo politicizzato, pur costituendone la causa efficiente. In verità, andando alle cause originarie, la situazione si presenta molto più complessa ed ha radici che affondano negli eventi economici che si svilupparono tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, all’interno di una congiuntura internazionale nella quale tutti i paesi europei dovettero a vario modo adottare politiche autarchiche: tutte diverse, ma accomunate da un’unica tendenza, ovvero quella volta al raggiungimento dell’autosufficienza economica, per ristabilire gli equilibri e le condizioni perse sul finire dell’Ottocento.
Nello specifico il grande sviluppo della ricerca scientifica e della spiccata applicazione di nuove tecnologie a partire dal 1870, portarono proprio sul finire dell’Ottocento alla cosiddetta Seconda Rivoluzione Industriale, che ebbe come conseguenza una scomposizione del commercio internazionale e la necessità di ridefinire i rapporti di potere all’interno del contesto europeo. Il tutto sfociò nella Prima Guerra Mondiale, che tuttavia non portò a risultati utili e apprezzabili per una pace duratura, ma solo ad aggravare la situazione dei vari paesi e alla necessità della Seconda Guerra Mondiale.
E così l’Italia, negli anni Venti, si trovò in una situazione quasi di bancarotta, avendo importazioni di gran lunga superiori alle esportazioni, con una conseguente fuoriuscita di oro dal nostro paese, molto importante e allo stesso tempo molto pericolosa. Al riguardo, si possono consultare le statistiche rese pubbliche di recente dalla Banca d’Italia. Sicché, si decise di ridurre fortemente le importazioni e produrre all’interno ciò che veniva acquistato dall’estero. Tale politica nel settore agricolo interessò molti prodotti. Nota, al riguardo, è la famosa Battaglia del Grano, che in breve tempo colmò le esigenze italiane soddisfatte attraverso le importazioni. In termini quantitativi, ancora negli anni Venti l’Italia importava circa il 30% del fabbisogno nazionale. Ma già nel 1934 si era raggiunta in tale produzione l’autosufficienza.
Tuttavia quella del grano fu una delle tante manovre, realizzate attraverso lo sfruttamento delle terre paludose e marginali, incolte e abbandonate dai grandi proprietari terrieri, le quali vennero espropriate e concesse a chi le avesse messe a frutto, oltre all’attribuzione di vari contributi destinati agli investimenti agricoli. Da qui nacquero soprattutto al Sud numerosi centri rurali come Monteruga e Cardigliano.
(Monteruga)
Questi ultimi, che potrebbero essere oggetto delle nostre prossime escursioni culturali sul territorio, si distinsero soprattutto, come già si è avuto modo di accennare, per la produzione e la lavorazione del tabacco. Al riguardo, il Governo Fascista concentrò la produzione nazionale di tabacco quasi esclusivamente nella provincia di Lecce. Una produzione che tra le due Guerre si presentò vieppiù crescente. Va ricordato infatti che, il consumo di sigarette si avvia lentamente a metà dell’Ottocento, quando la produzione si contava in milioni di pezzi. Nel Novecento la produzione di sigarette si quantificò, invece, in tonnellate. Un consumo crescente quindi che rese possibile alla provincia di Lecce di superare le difficoltà legate alla contrazione delle produzioni del vino e dell’olio, che in questo periodo subirono una battuta d’arresto. Nello specifico, negli anni Trenta, nella provincia di Lecce, per la lavorazione del tabacco venivano impiegate oltre 50.000 tabacchine.
(Cardigliano)
Cosicché Monteruga e Cardigliano tra gli anni Trenta e fino ai primi degli anni Cinquanta furono centri fervidi di produzione e di vita. Qui, ci si sposava anche. Ma le sicurezze degli abitanti di questi due centri, con l’avvio delle politiche comunitarie dopo la Seconda Guerra Mondiale, che, puntando alla specializzazione internazionale della produzione, sfavorirono molte produzioni agricole italiane e soprattutto la produzione del tabacco, che venne favorita in altri paesi europei. E ciò, a tal punto che, a partire dagli anni Sessanta, si assistette ad un suo lento declino nel Salento. Produzione, poi, che sul finire degli anni Settanta, in provincia di Lecce, diventò insignificante sia in termini assoluti sia in termini relativi. E da qui l’abbandono di questi centri rurali, che a metà degli anni Ottanta si presentavano deserti e fortemente degradati. Una situazione irreversibile anche in virtù del concomitante e veloce sviluppo della meccanizzazione di tutti i processi produttivi nel mondo agricolo a partire dagli anni ’70.
Dei due, solo Cardigliano negli anni Novanta, è stato riqualificato e trasformato in un residence e centro benessere, mentre Monteruga, ancora oggi, versa nel più totale e triste abbandono.
E.I.