“Se proprio ci tenete a biasimarmi per qualcosa, chiedetemi perché racconto tutto questo come se fosse un rito collettivo. Il ‘nostro’ dolore, la ‘nostra’ perdita. Non c’era nessun ‘noi’. Mi sono inginocchiata ai piedi di Patroclo perché ho capito di aver perso uno degli amici più cari della mia vita”.
A parlare è Briseide, schiava prigioniera, concessa in premio ad Achille dopo l’assedio e la distruzione della sua città, Lirnesso, alleata di Troia. Tutto ha perso Briseide, unica sopravvissuta alla sua famiglia, al marito e ai fratelli. E freme mentre sente il clanglore della battaglia a ridosso delle tende e delle navi greche che sono in pericolo, dopo che Achille è entrato in contesa con Agamennone, il grande capo. Un dissidio fra uomini, sembrerebbe, una disputa di potere. Le donne ne pagano le conseguenze, trattate come cose che passano dall’uno all’altro contendente. “Come ragni stavamo raggomitolate al centro delle nostre tele. Solo che non eravamo i ragni, eravamo le mosche”. Riassume con queste parole la sua condizione di oggetto Briseide.
Pat Baker, docente di storia, vive a Durham, in Inghilterra. Riprende la narrazione dell’Iliade di Omero, ma cambiando completamente prospettiva, dal punto di vista di una vinta che è ammassata insieme a tutte le altre donne che servono i deschi e i letti dei comandanti greci. Si costituisce un legame narrativo tra Omero-Briseide-Pat, dove tutte le vicende belliche vengono descritte in loco, di prima mano. Non c’è posto per i sentimenti e neppure a volte per la solidarietà fra le prigioniere, che si adattano alle loro condizioni, accettano a malincuore il loro ruolo e diventano parte del famiglio dei loro vessatori con la figliolanza che ne segue. Ma non Briseide che conserva il suo spirito libero di giovane donna che ha patito i danni della guerra e che pure avrebbe bisogno di una parola dolce, di un gesto rasserenante, che trova a volte in Patroclo, il dolce amico e amante di Achille. Per questo è sinceramente addolorata per la sua morte e per le conseguenze che immagina seguiranno per la vendetta di Achille su Ettore, il difensore di Troia, che ha fermato Patroclo nella sua folle corsa per scalare le mura della città.
Briseide è vittima due volte perché viene strappata alla tenda di Achille da Agamennone per compensare la perdita di Criseide, figlia del dardanide Criso, sacerdote di Apollo, beffeggiato dal grande capo greco. Apollo seminerà morte e distruzione nel campo acheo per l’offesa arrecata al suo vecchio e devoto incensiere.
Sballottata da una parte all’altra del campo, Briseide osserva la miseria e la follia della guerra: ovunque squallore, feriti, morti, fanghiglia, degrado ambientale e umano, soprattutto atrocità nel campo di battaglia e durante il riposo dei guerrieri, alleviato da fiaschi di vino trangugiati e dalle continue violenze e sopraffazioni nei confronti delle donne, puro oggetto del desiderio. D’altronde è la “pónos” omerica, la fatica nel corso della vita da cui ci si può redimere con la ricerca e la conquista della “kléos”, la gloria, effimera eppure l’unica a spronare i combattenti a perseguire un ideale intriso di sangue.
In questa visione non c’è posto per le donne, costrette a servire ai banchetti e ricevere il seme del piacere con la violenza dello stupro. Alcuni momenti pure commoventi accadono nei rapporti fra gli uomini e gli dei, affettuosi direi e colmi di umanità. Non solo fra Patroclo e Achille, ma anche quello di Achille con la madre Teti che splendida sorge dalle acque per consolare il figlio addolorato per la morte dell’amico e soprattutto nell’incontro fra il vecchio Priamo, giunto nottetempo con l’aiuto del dio al campo greco, e Achille. Il re di Troia si getta ai suoi piedi e bacia le mani che hanno ucciso tanti suoi figli per rivendicare il corpo di Ettore straziato ma conservato per l’intervento di Apollo.
“Non c’è posto per l’odio, dirà a Zeus, i morti non appartengono più alla terra!”, nel perorare un intervento a favore della conservazione del corpo di Ettore e della restituzione per ricevere la cerimonia funebre. Pure commossa dalla umiliazione a cui si sottopone Priamo, Briseide è irremovibile nella condanna di una cultura maschilista che emargina le donne e le destina solo al servizio e al piacere del corpo. Osservando Priamo, Briseide riflette amaramente: “Io invece faccio una cosa che innumerevoli donne prima di me sono state costrette a fare: apro le gambe all’uomo che ha ucciso mio marito e i miei fratelli.”, osservando il suo grembo pregno del seme di Achille, votato alla imminente rovina.
Pat Barker, Il silenzio delle ragazze, 2019, Giulio Einaudi editore, Torino.
Paolo Rausa