Il settore edile, già colpito duramente dalla crisi di dieci anni fa, continua a registrare situazioni magmatiche in ambito legislativo. A causa della poca chiarezza della disciplina legislativa ad esso attinente, tale settore risente, oggi ancor più rispetto al passato, della attuale congiuntura estremamente sfavorevole.
E, in effetti, dopo la sentenza n.70 della Corte Costituzionale, emanata lo scorso 24 aprile e inerente fondamentali puntualizzazioni sulle disposizioni di legge emanate dalla Regione per quel che concerne il Piano Casa, la Puglia diviene oramai spettatrice di una edilizia sostanzialmente depotenziata, sulla quale la stessa amministrazione locale deve intervenire al fine di sanare le incongruenze dei progetti, già avviati nel 2009.
La legge regionale, posta al vaglio della Consulta, risalente al 30 luglio 2009, nonché al periodo immediatamente successivo all’accordo tra Stato – Regioni – Comuni avente ad oggetto il rilancio dell’economia attraverso l’attività edilizia, dopo anni di proroghe, è stata giudicata incostituzionale nei giorni scorsi in alcune parti.
A pronunciarsi sulla scottante questione, che coinvolge diecine di imprese, è stato il consigliere regionale del M5S Cristian Casili. In una nota diffusa nelle scorse ore, il consigliere invoca che “La tutela dell’impresa e la necessità di misure che consentano il rilancio dell’edilizia non passano da tentativi normativi di sicura illegittimità, ma presuppone al contrario regole certe. Questo vale molto di più oggi che è necessario essere al fianco di tutti coloro che operano nel settore edilizio per salvaguardarlo e sostenerlo davvero.”
La querelle deriva dall’incongruenza tra la legge regionale 30 luglio 2009 (su alcuni articoli della quale si è espressa, per l’appunto, la Corte Costituzionale nella sentenza di cui sopra) e la legge Sblocca Cantieri del 2019, emanata dal Governo Conte 1, peraltro sostenuto proprio da pentastellati e Lega. In particolare, si fa riferimento all’articolo 2 della L.R. n. 59/2018, il quale prevedeva la possibilità di demolire e ricostruire una o più strutture, anche con nuove costruzioni di diversa volumetria e dislocazione, all’interno dell’area di pertinenza, per giunta con efficacia retroattiva. Per sanare tale vulnus, l’amministrazione regionale pugliese ha dovuto poi varato una nuova legge nel 2019, alla quale però, in realtà, non è stata attribuita alcuna natura interpretativa. Una questione che ha indotto la Presidenza del Consiglio dei Ministri a rivolgersi alla Corte Costituzionale. Proprio rispetto agli articoli 7 della norma 5/2019 e 2 della 59/2018 si è espresso nello specifico il consigliere Casili: “Al momento dell’approvazione di entrambi gli articoli appena citati ho segnalato la sicura illegittimità costituzionale della previsione poiché contrastante con le definizioni delle tipologie di intervento edilizio contenute nel DPR 380/2001, che per la demolizione e ricostruzione impone il rispetto di sagoma e volume dell’edificio preesistente.”
Insomma, le norme giudicate poi incostituzionali, di fatto, ampliavano le possibilità di azione dei costruttori, ovvero permettevano di edificare sostanzialmente nuovi edifici, anche con volume maggiore e dislocazione diversa rispetto a quella precedente: una piccola costruzione, una volta approvato il piano di restauro, sarebbe potuta divenire, tecnicamente, più ampia cubatura. Con il risultato che, qualora non fosse stata dichiarata l’incostituzionalità, da un lato, si sarebbe messo in moto il sistema occupazionale, mentre dall’altro, inevitabilmente, si sarebbero garantiti alti guadagni per gli interessati e, più di tutto, si sarebbe favorita la speculazione edilizia. Situazione attualmente non più possibile.
Massimiliano Lorenzo