E siamo al quattordicesimo mese di gestione sociale ed economica avendo come punto di riferimento la questione legata al virus Covid 19. Quattordici mesi in cui tutto il popolo italiano è ruotato attorno ad un solo perno, ovvero quello determinato dalle vicende del virus. E se sul piano sanitario oramai siamo tutti preparatissimi, sappiamo tutte le statistiche sui positivi asintomatici, i positivi sintomatici, i ricoveri e i casi più gravi e, da qui, anche i morti giornalieri, poco si sa, invece, circa le conseguenze del “Covid-Totem” sul piano strettamente economico.
In termini molto sintetici, in Italia, a partire da marzo dell’anno scorso, si sono bruciati più di 150 miliardi di euro, con riferimento al reddito, il Debito dell’Amministrazione Statale è schizzato in alto, aumentando rapidamente di circa 200 miliardi di euro, più di un milione e mezzo di piccole imprese sono state quasi messe in ginocchio e costrette ad indebitarsi, spesso in maniera cronica. In termini più comprensibili, tali dati potrebbero essere tradotti dicendo che mediamente ogni italiano, a prescindere dall’età, ha ridotto di 1.600 euro all’anno il proprio reddito o la propria capacità di consumo e contratto, indirettamente ovvero tramite lo Stato, un debito di 3.300 euro, che va ad aggiungersi a quello pregresso, raggiungendo un ammontare complessivo di circa 50.000 euro. Inoltre, un’impresa su quattro è in crisi cronica, forse irreversibile.
Apparentemente lusinghiero, in tutto questo, sembra l’andamento della disoccupazione (9% circa), che tuttavia deve abbondantemente scontare il massiccio abbandono del mercato del lavoro da parte di molte persone. E tutto ciò senza tener conto che il numero degli occupati da tempo è in flessione costante e progressiva.
Tale quadro si definisce meglio se si considera che dalle massime cariche degli organismi mondiali, europei e dallo stesso establishment italiano, alla maniera scozzese, con “colpi di cannone” singoli, si è fatto capire che si è aperto il Tempo delle pandemie, la cui fine al momento non si riesce ad intravedere, lasciando ad intendere che i prossimi anni avranno l’andazzo di quello appena trascorso. In tutto questo consola in qualche modo, il fatto che gli italiani abbiano un patrimonio mobiliare ed immobiliare che può consentirgli di vivere più di 10 anni senza produrre un solo euro di reddito.
Da più parti, l’attuale congiuntura viene definita e affrontata come una crisi, che si dovrebbe risolvere nella riqualificazione del sistema economico. Ma, la questione è: siamo in presenza di una crisi o di qualcos’altro? In effetti, è possibile pensare ad un vero e proprio blocco dell’economia, ma anche ad un cambio di paradigma della stessa, se si considera che all’orizzonte sono imminenti l’affermazione della robotica e dell’ingegneria genetica, per i quali il lavoro umano non è più centrale nei sistemi di produzione e scambio.
Tutto ciò si riesce ad intravedere se consideriamo i processi economici nella prospettiva storica e, allo stesso tempo, con un taglio socio-demografico. Infatti, negli ultimi duecento anni si è assistito ad uno spostamento progressivo della popolazione dalle attività meno evolute a quelle più complesse e smaterializzate. E così mentre fino a quasi tutto il Settecento più del 60% della popolazione insisteva nelle attività agricole, a partire dalla Rivoluzione Industriale, per effetto dei progressi della tecnica e della tecnologia, questa si è spostata lentamente prima nelle fabbriche e da qui, in Italia negli anni ’50 del secolo scorso, nelle attività commerciali ed impiegatizie, per poi entrare nella scuola, nella sanità ed in banca, ed infine, a partire dagli anni ’90, in maniera massiccia nell’Università, nelle attività turistiche e dell’arte, lo spettacolo e la cultura. In buona sostanza, i progressi in ambito scientifico e tecnologico hanno consentito a partire dall’agricoltura, di liberare e rilasciare risorse umane affinché potessero essere impiegate in settori produttivi vieppiù evoluti e sofisticati.
Ora, l’incedere totemico in riferimento al Covid, ha colpito e messo in serie difficoltà proprio quei settori che maggiormente assorbivano il lavoro che rilasciavano i settori più tradizionali. E qui poche battute per evidenziare che proprio i settori del turismo e dell’arte, lo spettacolo e la cultura sono stati quasi completamente bloccati, come anche tutte le attività centrate sull’intrattenimento a vario titolo. Ma anche la Scuola e l’Università hanno registrato duri colpi, dove per il futuro si è lasciato ad intendere che dovrebbero perdere più del 50% del corpo docente.
Perdurando la Covid-Economia, che infierisce proprio su quei settori vitali per le attività lavorative moderne, viene di fatto bloccato qualsiasi possibilità di sviluppo. Una situazione che, peraltro, non consente alla popolazione di ritornare ai settori tradizionali, oramai a tecnologia avanzatissima, dove altissimo è il tasso di uso dei robot.
In tale quadro si deve dunque parlare di crisi economica? O di blocco? Ma, non appare peregrino anche pensare ad un cambio di paradigma economico, in quanto non si ha più bisogno del fattore umano, per il quale è forse previsto un futuro inedito, in una Nuova Civiltà, che poco ha a che vedere col lavoro, inteso in senso tradizionale, e col sistema dei consumi, ma anche col danaro, che potrebbe essere sempre meno strumento di scambio e sempre più strumento di controllo sociale.