Va da sé che il blocco dell’economia a seguito dei provvedimenti del Governo per contrastare la diffusione del Coronavirus non potrà non avere ripercussioni non solo su tutto il sistema di produzione e scambio, ma anche su quello sociale. Una crisi che, al di là degli effetti culturali e psichici, derivanti da questa profonda voragine che si è aperta nelle nostre abitudini, nella nostra economia e dalla prospettiva futura che si baserà sulla “distanza sociale”, avrà sul piano del lavoro gli stessi effetti che ha una crisi ordinaria, più o meno profonda, e che non potrà non interessare in maniera molto segnante anche l’economia e la società leccesi.
Negli ultimi 150 anni, crisi profonde se ne sono viste tantissime, a partire dalla grande depressione del 1870, e tutte hanno portato ad un solo risultato, ovvero allo sviluppo della applicazione della tecnologia e al conseguente spostamento della popolazione dai settori meno evoluti a quelli più evoluti. In tutto questo va precisato che i rapporti sociali tra le grandi famiglie che detengono il potere ed il popolo, invece, non sono mai cambiati e sono rimasti sempre e semplicemente gli stessi. Si comprenderà facilmente, inoltre, che il transito della popolazione da un settore all’altro dell’economia, per effetto di una crisi, è accompagnato da grandi frizioni sociali generate dall’insorgere della disoccupazione, che è fenomeno naturale dovendo il lavoratore lasciare il suo vecchio posto di lavoro per trovarne un altro in un settore più qualificato. Tutto ciò, come facilmente si intuirà genererà un forte rimescolamento di tutte le relazioni sociali. Ed ecco che, i tempi a venire saranno tempi sì difficili, molto difficili, sul piano del lavoro, ma anche pieni di novità non solo nella geografia relazionale dell’individuo, ma anche con riferimento al suo stile di vita.
Difficilmente la storia esce dal suo corso naturale. E come la Rivoluzione Russa non fu così radicale, come facilmente si può riscontrare dalla copiosa pubblicistica, anche la profonda crisi ingenerata dalle misure di sicurezza sanitaria imposte dal Governo italiano non modificheranno gli orientamenti e le tendenze di struttura sia dell’economia nazionale sia di quella salentina.
In riferimento a quest’ultima, all’economia salentina appunto, quali, dunque, le determinanti di fondo? Sul piano dell’occupazione, il numero dei lavoratori, a partire dal 1993, in provincia di Lecce è andato lentamente contraendosi, con un’accelerazione dopo la crisi del 2008. E così, da circa 250.000 unità circa censite nel 1991, queste nell’arco di un trentennio circa sono passate a 245.000, per assestarsi dopo il 2008 intorno alle 235.000 unità. Più drastica è stata la contrazione del pubblico impiego che dalle 40.000 unità del 1991, oggi, in provincia di Lecce, tale dato si aggira intorno alle 20.000 unità.
In definitiva, quella leccese è un’economia che non assorbe lavoro se non con grande difficoltà. Ed ecco che il livello di disoccupazione che tra il 1991 ed il 2005 si è aggirato intorno a valori di 35.000 unità, e negli anni successivi alla crisi del 2008 è balzato a livelli di intorno alle 70.000 unità per assestarsi poi sulle 50.OOO unità negli ultimi tempi.
E ci si chiederà perché l’economia della provincia di Lecce, il cui capoluogo negli ultimi anni è risultato il più ricco di Puglia quanto a reddito prodotto, non presenta una tensione espansiva in termini di occupazione, caratterizzandosi così per la sua scarsa inclusività sociale, e ciò almeno negli ultimi 40 anni.
In realtà, se per il popolo la disoccupazione è un disvalore, qualcosa di cui vergognarsi, per la classe dirigente, e le grandi famiglie ovviamente, è invece un importante valore, perché questa calmiera lo sviluppo delle remunerazioni dei lavoratori dipendenti. E ciò ovviamente solo in parte per far recuperare competitività al sistema produttivo sul mercato e mantenere un livello di inflazione basso. In tutto questo, la provincia di Lecce pare essere proprio una di quelle aree vocate alla disoccupazione e dunque a ricoprire il ruolo di ammortizzatore a livello nazionale sullo sviluppo salariale e dunque per contenere l’aumento dei prezzi e garantire la stabilità del valore della moneta.
Da quanto sin qui esposto è facile concludere che nei prossimi mesi si manifesteranno le stesse dinamiche descritte per i tempi passati, con grandi novità tuttavia sul piano culturale in termini di “distante sociali” e limitazioni importanti, dunque, circa la possibilità di movimento fisico e forse anche di movimento intellettuale.