9 maggio 1978: la notte dello Stato italiano – Massimiliano Lorenzo

9 maggio 1978: la notte dello Stato italiano – Massimiliano Lorenzo

          Quella notte, notte da ricordare, notte della memoria, quella appunto tra l’8 ed il 9 maggio del 1978 è una di quelle che hanno segnato la storia della Repubblica Italiana, sebbene volutamente ignorata, perché imbarazzante per i suoi intrecci tra lecito e illecito, tra Stato e mafia. Quella, è la notte dell’assassinio di un giovane trentenne siciliano, attivista, morto per mano mafiosa. In quella notte, sui binari della ferrovia di Cinisi, veniva giustappunto fatto “saltare in aria” con il tritolo Giuseppe Impastato.

          Sono passati quarantadue anni da allora e la lotta che costò la vita a Giuseppe si mostra attuale più che mai: una lotta contro quel nero dell’eterno presente della nostra Italia. Chiunque, ed in particolare nel nostro Bel Paese, anche oggi è costretto a vedersi soffiato un posto di lavoro perché figlio o nipote di nessuno, perché non raccomandato da qualche barone o senza la copertura di amici “importanti”. Ingiustizie, ieri come oggi, diuturne e quotidiane, correnti che Giuseppe Impastato, detto Peppino, contrastava e combatteva, e non solo nella sua Sicilia, ma per giunta nella sua famiglia.

             Ma chi era e cos’era Giuseppe Impastato?

          Un ragazzo siciliano, che si ribellò al malaffare, alla malavita e alla mafia in ogni sua espressione. E proprio lui, figlio di un mafioso in una famiglia di mafiosi. Giuseppe Impastato, un ragazzo e un uomo libero, che insegna ancora oggi cosa voglia dire “fare antimafia”, soprattutto sociale. Con il suo esempio ha mostrato come ribellarsi allo status quo della società in cui si vive.

          In vita, come a decenni di distanza, ha trascinato ragazzi e ragazze, uomini e donne, con la sua passione e per la sua oratoria. Lui, un giornalista moderno, che faceva inchieste sulle opere in cantiere, e non solo a Cinisi, tra le quali spicca quella per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Ed ancora, un giornalista che sapeva parlare, che faceva la voce grossa contro le malefatte dalla “sua” Radio Aut e dal “suo” giornale “L’idea Socialista”, dai quali, negli anni ’60 e ’70, sfidava Badalamenti ed i suoi “compari”. Ma era anche un politico, un attivista radicale, che lottava per l’uguaglianza e la giustizia sociale, contro l’occupazione delle terre dei contadini ad opera dei latifondisti. E fu proprio la sua attività politica, la sua candidatura per le elezioni locali nella lista di Democrazia Proletaria, che spaventò i mafiosi del posto, convinti che Peppino, conoscendoli nel profondo, con il rigore della legge, li avrebbe potuti “fermare”.     

          La mafia in quegli anni aveva ancora uno stile prevalentemente violento, repressivo e legato ad affari minori. Oggi, la criminalità organizzata ha invece cambiato volto e ha cambiato strategie. Non spara così facilmente per le strade, non fa saltare in aria automobili o autostrade, ma si è fatta mafia economica, si è fatta criminalità finanziaria. Ma l’obiettivo di diffondersi, fare proselitismo e sostituirsi allo Stato, quando non sovrapporsi, è il medesimo di allora, anzi anche più grande dei decenni scorsi. Si è ormai fatta sistema, almeno in alcune pratiche. Un sistema, quello mafioso, che passa sopra la testa di tutti, senza scrupoli e tentennamenti, perché il gasdotto Tap deve farsi, perché la Tav Torino-Lione deve essere costruita. Poco importa se queste opere devastano il territorio, mettono in ginocchio la sua economia e non portano nulla ai suoi cittadini, anzi li portano alla fame.

          Ecco chi era Giuseppe Impastato, detto Peppino! Un uomo che amava la sua terra, legato ad essa, tanto da dare la vita perché cambiasse, perché i suoi abitanti si affrancassero da quel potere violento ed illegale, fatto di amministratori corrotti e imprenditori “prestanome”. Oggi Peppino sarebbe stato accanto agli operai di Arcelor Mittal e contro l’inquinamento causa di tanti tumori a Taranto, sarebbe al fianco dei braccianti immigrati senza contratto e senza diritti al servizio dei caporali, come vorrebbe dare il suo contributo alle lotte per il diritto alla casa, quelle per il diritto ad un’istruzione pubblica, o, ancora, sarebbe accanto a tutti quei lavoratori che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro.

          Giuseppe Impastato era un uomo pieno di passione. Una passione tanto forte da essere d’esempio per chi gli era accanto, un uomo così semplice che ha dato la vita per il suo ideale, per la sua terra e, ancora, per la società tutta. Proprio quella società che, bisogna dirlo, ieri come oggi, sebbene in maniera minore e diversa, lo ha bistrattato e nascosto, accusato di terrorismo e strappato a soli 30 anni agli affetti di quella parte della sua famiglia che lo supportava nella lotta, dalle braccia di quella madre e quel fratello, Felicia e Giovanni appunto, che hanno cercato la verità fino alla fine, proprio come a Peppino. E proprio come lui hanno vinto la loro battaglia contro la mafia, riuscendo a vedere in galera gli esecutori e, soprattutto, il mandante del brutale assassinio di Giuseppe Impastato, Gaetano Badalamenti. Un boss convinto che bastasse ucciderlo per far cessare le voci contro il sistema che rappresentava. Perché sovente accade che, cercando di tagliare la testa al proprio nemico per eliminarlo, questo invece si rafforzi e si moltiplichi, si diffonda. È quello che è accaduto con la mafia e Peppino Impastato: giornalista e politico, nato a Cinisi il 5 gennaio 1948.

          È nell’esempio di uomini come Peppino Impastato, al quale si associa sicuramente il segretario del PCI, Pio La Torre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il capo dell'ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, Rocco Chinnici, ed ancora i giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per citarne solo alcuni, che risiede la possibilità di sconfiggere la mafia, in quanto “fatto sociale”, per rendere una società più libera, più trasparente, più giusta, ed ancora, più eguale.

          Quarantadue anni fa, la mafia non aveva idea di cosa avrebbe innescato la miccia di quel tritolo sui binari della ferrovia e l’assassinio di Giuseppe Impastato. Da allora, grazie all’attività quotidiane di tante associazioni e gruppi di lavoro, in primis la Casa Memoria Felicia e Giuseppe Impastato, si hanno i nomi e i numeri della mafia, talché, nel ricordo di Peppino e non solo, tanti ragazzi e ragazze, uomini e donne, possono prendere consapevolezza di cosa sia la mafia e di chi siano i mafiosi. E non solo, ma di come possono essere smascherati e sconfitti.

Massimiliano Lorenzo

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