Le guerre proseguono nel Covid19 – Massimiliano Lorenzo

Foto di ThePixelman da Pixabay

          La fame di potere e conquista di molti potenti, a capo di eserciti e milizie sparsi un po' per tutto il Mondo, non si placa neanche di fronte alla devastante pandemia da Covid-19. E, infatti, in tutti i continenti del Pianeta insistono e proseguono guerre e conflitti, in corso da decenni o di più recente formazione. Le armi non tacciono e non conoscono tregua! Una situazione canonica che, addirittura già nella Grecia, prima della nascita di Cristo, si presentava, anche nel momento in cui dovevano tenersi le Olimpiadi, e che dopo secoli si è ripresentata, quando il “cessate-il-fuoco” dell’ONU, esortato nella “Dichiarazione del Millennio” del 2000 per le Olimpiadi, non ha sortito alcun effetto. Ma se lo sport dovrebbe far cessare, perlomeno in teoria, i bombardamenti e il rumore dei fucili, una crisi sanitaria, stando ai fatti odierni, lo fa meno che mai. Strano modo di fare quello nel contesto internazionale, sostanzialmente anarchico, ma pur sempre a guida Occidentale. Gli appelli dell’Onu e del suo Segretario Generale, Antonio Guterres, riferiti, tra tutti, soprattutto ai conflitti armati “investiti dal Covid19”, sono caduti nel vuoto, eccezion fatta per qualche rara ed episodica cessazione.

          Dall’Europa all’Africa, dall’Asia al Medio Oriente e, ancora, al Sud America, non c’è continente che non continui a esser teatro di guerre per il potere, per il controllo delle risorse naturali e dei territori, nei quali queste insistono.

Uno scontro armato dimenticato e che prosegue in questo periodo segnato da Coronavirus è proprio quello che si svolge, da oramai oltre sei anni, in Ucraina. Qui, le bande di nazisti foraggiate e armate dal Governo di Kiev lottano per recuperare la Crimea e le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, autoproclamatesi autonome, ma vicine alla Russia, tant’è che l’appoggio di Mosca non manca in ogni aspetto politico, economico e militare.

Anche sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico, le armi continuano a sparare in Messico e in Venezuela, per motivi di diversa natura. Se, infatti, nel paese di Emiliano Zapata si fronteggiano forze governative e movimenti popolari o narcotrafficanti per il controllo del Chiapas e del traffico di stupefacenti, in Venezuela invece, il motivo che continua a far esplodere i fuochi è l’inarrestabile tentativo di colpo di Stato guidato da Juan Guaidó (appoggiato, in primis, da Donald Trump), a causa del quale, inesorabilmente, si aggravano le condizioni economiche e sociali del popolo di Nicolàs Maduro, che fu di Hugo Chavez. Due teatri diversi, quello europeo e quello sudamericano, che però hanno un elemento comune: la presenza sul proprio territorio di agenti esterni ai Paesi interessati, da ricondursi soprattutto agli statunitensi. La risposta al perché ciò accada è rinvenibile nella mai cessata Dottrina Monroe, che vuole l’America Latina quale giardino degli Stati Uniti e l’Unione Europea in funzione prevalentemente anti-russa.

          In questa pandemia, in una prospettiva quasi scontata, comunque, non si fermano nemmeno le guerre in Asia ed Africa, dove, tra gli scontri armati storici, spiccano quelli in Pakistan e Libia. Nel territorio dello Stato asiatico si assiste ad un conflitto su due fronti: uno esterno, che riguarda la contesa della regione del Kashmir con l’India; l’altro, sul fronte interno, che, invece, vede protagonisti il governo “apostata” di Islamabad e numerosi gruppi jihadisti, alcuni legati, tra l’altro, al Daesh o Isis, e mossi da sentimenti nazionalisti. Quel che accade in Libia, tuttavia, ci riguarda più da vicino, se si considera la vicinanza e alla nostra Italia e all’Unione Europea. Infatti, guerra civile, caos e scontri tribali non sono più cessati dalla rivolta del 2011, che portò alla destituzione e alla morte del primo ministro Muʿammar Gheddafi. Da quel 20 ottobre di quasi dieci anni fa, molto è cambiato in Libia, in particolar modo dopo il fallimento dell’Accordo di Pace, indotto forzatamente dalle Nazioni Unite nel 2015, che, paradossalmente, ha portato alla divisione del territorio in due aree di influenza: Fayed al-Serraj alla guida di Tripoli e il generale Khalifa Haftar al controllo della Cirenaica. Ad ogni modo, il conflitto ha segnato il passo e si è inasprito nell’aprile dello scorso anno, quando Haftar ha cercato la scalata al governo libico assediando la capitale, appoggiato da Turchia e Qatar. E, in questa pandemia, di certo non si arrestano i tentativi di conquistare gran parte del territorio libico per detronizzare Serraj, il quale, con l’appoggio e il riconoscimento delle forze internazionali, ha inflitto sconfitte inattese all’esercito del generale della Cirenaica.

          Ad ignorare questo tempo di pandemia, anche i territori del Medio Oriente. Qui, due sono gli scontri di grande rilievo, entrambi di diversa natura: quello in Siria e quello in Palestina. Del conflitto siriano se ne è parlato in un altro articolo, con un focus sul Rojava, incentrato però solo su una parte degli scontri. Tutt’oggi, proseguono i bombardamenti per mano di entrambi gli schieramenti in campo, nonché i miliziani e mercenari legati all’Occidente, che vogliono deporre il legittimo Presidente Bashar al-Assad, e quest’ultimo che, a sua volta, è impegnato a riconquistare i pieni poteri sull’intero territorio, grazie all’esercito regolare e agli aiuti di Vladimir Putin. Le condizioni dei civili continuano a peggiorare e, con esse, la preoccupazione del contagio da coronavirus diviene enorme, soprattutto, dopo i primi casi, nel Nord-est del paese, in cui le strutture mediche, dopo 10 anni di guerra, sono state ridotte al minimo. Per quel che riguarda, invece, la Palestina, oltre al proseguo delle occupazioni da parte dello Stato di Israele, è attenzionata la Striscia di Gaza, nella quale circa 2 milioni di abitanti occupano 375 mila chilometri quadrati. Una zona del Paese isolata a causa del blocco israeliano, da decenni all’origine di scontri sanguinosi, e che ha assistito a uno smantellamento quasi totale delle strutture sanitarie, sicché, anche qualora esistano altre alternative mediche, spesso si è costretti all’amputazione quale prima ed unica ratio operatoria.

          Per chiudere, insomma, fatto salvo il caso saudita e pochi altri gruppi belligeranti che hanno accolto l’appello del Segretario Generale dell’ONU, quale massimo organismo politico internazionale, sospendendo le ostilità, gli altri Stati e fazioni proseguono nel loro incedere guerresco, con diversi livelli di intensità e totalmente incuranti dei gravi problemi sanitari che affliggono il Globo. Conflitti, ovviamente, sempre volti a difendere gli interessi economici e di potere dei gruppi sociali più ricchi, a scapito delle condizioni di vita dei popoli, del loro diritto all’autodeterminazione e, soprattutto, delle fasce più deboli e meno abbienti, vittime sacrificali, le più lontane, inevitabilmente, da quegli stessi interessi economico-politici che muovono i conflitti in tutto il Mondo. Ma, mentre i governi e i produttori di armi giocano col famoso detto siciliano “non vedo, non sento, non parlo”, che gioca a loro favore, tanti sono i movimenti anti-imperialisti e pacifisti che, incessantemente, non smettono di chiedere la fine delle guerre “esportatrici di democrazia”. Non smettono di chiedere la più auspicata: la pace.

Massimiliano Lorenzo

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