Implacabili e precise come un orologio svizzero, ogni quattro anni si ripresentano le elezioni per il Presidente degli Stati Uniti d’America, il primo martedì di novembre.
Le presidenziali americane del 2020, più che in passato, sembrano segnare uno spartiacque storico per gli States e per il Mondo intero. Ed ormai ci siamo, l’ora della verità sta per arrivare, oggi, martedì 3 novembre, gli Stati Uniti avranno il loro Presidente: sarà ancora il magnate Donald Trump o verrà eletto l’ex-vicepresidente Joe Biden?
Dopo quattro anni di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti d’America, il Paese che un tempo rappresentava, e forse rappresenta ancora oggi il sogno di tanti cittadini sparsi per il Mondo, è sicuramente mutato tanto al suo interno, e ancor di più nei confronti di alleati, partner e avversari all’esterno. Se gli otto anni di presidenza Obama potevano far pensare che la questione razziale, per esempio, negli Stati Uniti, fosse ormai solo un brutto ricordo del passato, con Trump si è invece ripresentata, forte e violenta. Come dirompenti si sono presentante le disuguaglianze socio-economiche, l’accesso alla sanità e all’istruzione. Differenze e distanze che si sono approfondite, anche con l’estero, si sottolineava, proprio come quelle con la Cina, ancor di più dopo Wuhan ed il coronavirus, gestito male da Trump, assieme alla questione sulla tecnologia del 5G. Non meno importanti sono le prese di distanza dall’Unione Europea, considerata dal Presidente uscente un “vecchio carrozzone”, o con le istituzioni internazionali, che stanno strette a Trump, o ancora gli accordi sul clima e quelli commerciali, o il disimpegno militare nell’ambito Nato, per il quale chiede maggior impegno finanziario degli alleati. Sono dunque diversi gli esempi che mostrano un’America cambiata e più distante dagli alleati storici e più recenti, da quando Trump ha varcato le porte della Casa Bianca.
E pensare che parte della sinistra nostrana, quattro anni fa, aveva “tifato” proprio per Donald, opposto alla figura imperialista ed interventista della sfidante democratica Hillary Clinton!
Non è difficile allora intravedere la polarizzazione di queste disuguaglianze, di queste fratture, nei fondamentali comparti sociali ed economici. Non è difficile intuire come il Potus Trump trovi terreno fertile in queste condizioni, o in quelle dello scontro con un fantomatico nemico.
Ma dall’altra parte, i democratici, con Joe Biden, come si muoverebbero? Quali politiche attuerebbero? Bene, alcuni analisti sostengono che tra le file dem, quelle più radicali, starebbero pensando ad un “New Deal” per sanare proprio una parte di quelle disuguaglianze. Ricordiamo che siamo sempre negli Usa! Però, non sarebbe semplice nemmeno per i democratici, qualora venisse eletto Biden, governare e portare a compimento i vari punti del programma. Perché, se è vero che i dem sono uniti in un fronte unico per sconfiggere Trump, è anche vero che non sono altrettanto unitari su alcuni argomenti, sostengono alcuni esperti. E la politica estera di Biden, invece? Quella non dovrebbe essere troppo dissimile dalla politica estera trumpiana, per esempio sul disimpegno e il rapporto con il “Vecchio Continente”. Certamente, però, un Trump rieletto esaspererebbe il fronte anti-Cina e l’allontanamento dall’Europa. D’altro canto, invece, dopo anni di escalation tensiva nei confronti dell’Iran e del suo arsenale atomico, specie dopo l’”Accordo di Abramo” tra Usa-Israele-Emirati Arabi, Biden potrebbe ripensare proprio al rapporto con il paese degli Āyatollāh. Un Iran, tra l’altro, che a giugno prossimo voterà il proprio Presidente, un aspetto non poco importante, che lascia aperti gli scenari. Ma, in tutto ciò, il punto fermo sarebbe certamente il rapporto con gli Emirati, il loro petrolio e la loro ricchezza.
Un piccolo accenno va però fatto ai due candidati alla vicepresidenza: Mike Pence per Trump e Kamala Harris per Biden. Se effettivamente il ruolo è limitato e di poco conto per Costituzione, questa volta uno o l’altro potrebbe entrare in scena, data l’età dei due candidati alla Casa Bianca, 74 anni per il Presidente e 77 anni per lo sfidante. Infatti, qualora il Potus eletto dovesse cadere in condizioni di salute tali da non permettergli di governare la Nazione, toccherebbe proprio al vicepresidente prendere il suo posto, aspetto di non poco conto.
Una Presidenza Trump, dunque, che ha polarizzato e approfondito le distanze degli aspetti chiave della democrazia statunitense, che siano essi comunicativi, dell’informazione, economici o sociali. Sebbene l’America registri una crescita economica, in termini assoluti. Ecco, appunto, proprio il campo sociale andrebbe ricomposto con maggiore celerità e attenzione, perché gli States non si sgretolino e non si avverino le paure di larghe fasce di cittadini statunitensi, quella più deboli e più povere, ovviamente. Proprio loro temono la rielezione di Trump e il suo atteggiamento poco incline all’ascolto, quello dell’uomo solo e forte al comando.
Per concludere, questa sera o al massimo domani, sempre che non vi siano ricorsi a giudici e Corti per i risultati, gli Stati Uniti e il Mondo conosceranno il nome dell’uomo che guiderà per altri quattro anni la Nazione ancora più ricca e più potente del Pianeta Terra. Per almeno 24 ore, gli occhi di europei, russi, cinesi, iraniani e tanti altri ancora saranno puntati sui teleschermi, per sperare o meno, che i sondaggi vengano confermati e portino alla vittoria Joe Biden, oppure vengano disattesi, come l’ultima volta, e venga confermato Donald Trump alla guida degli Stati Uniti.
Massimiliano Lorenzo