In questo Tempo di Covid spesso è tornata in auge la discussione sul finanziamento pubblico per la Ricerca, ad un ritorno della centralità statale nei processi di formazione dei giovani. Ma realmente l’indicazione politica è quella?
Un tale dibattito si impone, innanzitutto, comprendendo l’arretratezza degli istituti italiani di istruzione, formazione e ricerca, determinata soprattutto da anni di tagli ai fondi di finanziamento, ricercati e voluti. Infatti, sono più di 10 anni che la Scuola, l’Università e la Ricerca subiscono un continuo e significativo definanziamento. Tra tagli governativi e “accantonamenti preventivi”, relativi al mancato finanziamento, il Miur ha assistito ad una riduzione progressiva delle risorse economiche disponibili, giungendo a registrare una contrazione dei propri fondi di ben oltre 10 miliardi. Tutto ciò a partire da quel famoso decreto Tremonti-Gelmini del Governo Berlusconi 2008-2011, che è stato solo il primo atto di dismissione di Stato del Mondo dell’Istruzione, proseguendo la sequenza di tagli in tutti gli altri Governi fino a quello attuale di Conte. Ed in questo periodo di didattica a distanza, connotato dalla penuria di strumenti e di tecnologia moderni, o almeno appena sufficienti, appare a tutti evidente il depauperamento del sistema istruzione.
Ed i tagli di cui qui parliamo, è bene dirlo, sono stati apportati in maniera consistente, soprattutto al finanziamento ordinario delle università, al funzionamento degli atenei, alle spese di professori, ricercatori e personale non docente e all'ordinaria manutenzione delle strutture universitarie e della ricerca scientifica. Una distruzione tale testimoniata da edifici fatiscenti, laboratori tecnologicamente arretrati ed istruzione sempre più precaria, con docenti precari e a bassa continuità di insegnamento. Ed ancora, dunque, non è difficile comprendere perché importanti menti italiane preferiscano spesso formarsi e fare ricerca in istituti esteri, dove troppe volte restano, non meramente per gli stipendi, ma per la soddisfazione di sentirsi utili ed importanti per la società in cui vivono ed in cui si sono formati.
Ma tutto ciò non avviene certo per caso! In maniera forse semplicistica si potrebbe sostenere che lo Stato vuole i propri figli ignoranti perché da adulti saranno più facilmente addomesticabili. Però, andando oltre questa retorica, che pure contiene un fondo di verità, la questione è più profonda, più economico-finanziaria e più politica. Perché a ben guardare i tagli al finanziamento pubblico ed il loro travaso verso il privato in termini di fondi pubblici, si evince facilmente la chiara scelta della Politica, ovvero di agevolare, appunto, il settore privato e dei privati.
A seguito di ciò, si potrebbe obbiettare che nessuna legge ha ancora cancellato la pubblicità della Scuola, dell’Università e della Ricerca in Italia. Ed ancora, si potrebbe sostenere che non vi è stata alcuna riforma costituzionale negli articoli che disciplinano gli istituti italiani. È vero, senz’altro. In realtà, però, non vi è nemmeno la necessità di privatizzare l’istruzione, la formazione e la ricerca, nella burocrazia e nella Costituzione, basta farlo “de facto”. A ciò, basta dirottare sempre maggiori fette di fondi verso centri privati, magari consorzi a maggioranza privata, così che questi possano attrezzarsi con laboratori, strumenti, infrastrutture e tecnologie qualitativamente e quantitativamente migliori rispetto al pubblico, privilegiandoli e rendendoli così più appetibili.
Tutti ciò è qualcosa che chi ci governa dovrebbe spiegare al cittadino, ovvero perché i finanziamenti agli istituti privati, soprattutto ad alcuni, i Ministri competenti si mobilitano per metterli a disposizione in tempi brevissimi, mentre per le strutture le pubbliche gli stessi Ministri invocano la “spending review”, praticando tagli significativi e ritardando all’inverosimile la loro disponibilità?
Insomma, con nemmeno troppi elementi è possibile notare come lo Stato e la Politica abbiano scelto di abdicare rispetto all’istruzione, per privilegiare ed orientare in dietro i propri passi verso un ritorno al privato. È questo un aspetto determinante, che rientra nelle più complesse opere di privatizzazione del Sistema, che oggi oltre al Pianeta Istruzione vede anche la Sanità e la Previdenza sociale (che tornerà ad essere aziendale).
Per concludere, lo Stato come entità politica ed organizzativa, come lo si è conosciuto a partire da fine Ottocento, sta pian piano abbandonando gli ambiti in cui solitamente interviene, sta decentrando sempre più le responsabilità, quindi la gestione, degli aspetti cardine della società. Forse perché sarà in altro occupato? Fatto sta che istruzione, formazione e ricerca, insieme alla Sanità, vanno sempre più verso la totale privatizzazione, che per ovvi motivi escluderà larghe fette di popolazione.
Massimiliano Lorenzo