Le minacce militari e i progetti politici degli Stati Uniti in America Latina non sono nulla di nuovo e rappresentano un continuum storico. La cosiddetta “Dottrina Monroe” è, infatti, dal 1823, un faro per tutte le amministrazioni della superpotenza a stelle e strisce. Ancora oggi, non a caso, si susseguono intromissioni dirette o indirette, tentativi di golpe, finanziamenti e forniture di armi alle opposizioni, a Cuba, come in Venezuela. Proprio la Repubblica bolivariana del Presidente Nicolas Maduro, che fu prima del Comandante Hugo Chavez, è oggi nell’occhio del ciclone e negli interessi strategici dell’America trumpiana. Allo stesso tempo, anche paventare interventi bellici rientra nella storia americana e, soprattutto, sovente accade nei mesi che precedono le elezioni presidenziali.
Come è noto, il sistema internazionale vive un periodo di cambiamento, che si sostanzia in un riposizionamento delle superpotenze, attraverso la ricerca di nuovi schieramenti. Non è un caso, difatti, che a più riprese vengano alle cronache idee e progetti di interventi militari, sanzioni o accordi commerciali. Le motivazioni addotte a questo o quel progetto sono sempre variegate, ed oggi non può che essere quella del coronavirus e delle “ragioni umanitarie”.
Ora, proprio in questo contesto si inserirebbe un attacco militare congiunto di USA e Colombia in Venezuela, di cui si sarebbe discusso in un incontro segreto, nel 2019, portato alla luce in sede ONU da Samuel Moncada, ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Insomma, si tratterebbe di un programma di ampio respiro internazionale e che comprende, oltre alle nazioni sudamericane, anche la Russia di Putin. E qui, non a caso, entra nel discorso lo scoppio delle manifestazioni e delle rivendicazioni di una parte del popolo in Bielorussia. Un territorio ex-sovietico di frontiera tra l’Europa e la Federazione russa, che potrebbe rappresentare una nuova Ucraina.
Ci si chiederà: come rientrano Bielorussia e Venezuela in uno stesso quadro di riferimento di politica internazionale ed in uno stesso progetto politico-militare? Sia la Repubblica ex-sovietica sia quella bolivariana, infatti, sono vicine e sostenute dalla Russia, che va contenuta e tenuta impegnata nel “giardino” di casa sua. Invero, sono diversi i segnali che portano ad un possibile intervento militare in Venezuela. Quali? Primo fra tutti la destabilizzazione proprio della Bielorussia, sfruttando la forza delle opposizioni in questo post-elezioni presidenziali, che hanno visto riconfermato il Presidente Aljaksandr Lukašėnka. E perché questo? Proprio per mantenere lo sguardo russo fisso sul territorio est-europeo e non si impegni, con un appoggio operativo, nell’America Latina. A completare quello che potrebbe definirsi “accerchiamento” della Russia, ci sarebbero poi gli eventi in Libano, la situazione siriana e le operazioni israeliane nel Medio Oriente.
Ancora, poi, un altro segnale o elemento che porterebbe a pensare, effettivamente, ad un possibile attacco militare in Venezuela è il tentativo di compattare l’opposizione a guida Juan Guaidó contro il legittimo Presidente Maduro. Infatti, dopo un periodo passato nell’ombra, lo scorso 19 agosto, il capo dell’opposizione venezuelana è riapparso in pubblico e, tra gli altri concetti, ha chiaramente esposto la necessità di attivare un processo di mobilitazione nazionale ed internazionale, proprio per ottenere l’intervento armato della comunità internazionale e degli alleati. Segnali e parole non di poco conto, anzi, in un contesto geopolitico caldo come quello odierno.
Non finiscono qui, però, i segnali bellici nei confronti del Venezuela. Infatti, non può certo mancare una precisa strategia comunicativa e di controllo delle informazioni, nell’Era della tecnologia e dell’informazione. E dopo due anni di assedio sull’immagine del governo bolivariano, oggi le notizie sono anche più limitate. Infatti, le grandi corporations divulgative preferiscono evitare che il Mondo conosca la realtà del paese sudamericano, così come lasciano passare le notizie solo attraverso le piattaforme ed i canali a loro favorevoli. A questo si lega, appunto, l’attacco a Telesur, l’impossibilità di trasmettere in Venezuela per DirectTv, come vale per la programmazione di RussiaToday e HispanTv. Dunque, parliamo di un attacco a più livelli e con più obbiettivi, non solo esclusivamente militare o sociale, per inventare il casus belli o fagocitare il malcontento popolare.
In fine, torniamo ad un concetto accennato nell’incipit di questo scritto: gli attacchi militari nel periodo che precede le elezioni presidenziali statunitensi. Questo è nel “gioco” elettorale yankee ovvero quello di muovere l’esercito e farlo intervenire contro i territori antagonisti, per quel sentimento di supremazia e quello spiccato senso di sicurezza che caratterizzano il popolo americano nell’utilizzo delle armi. Nel gergo politico “a stelle e strisce” si chiamerebbe “sorpresa di ottobre”, quell’evento imprevisto(?) che potrebbe cambiare le tendenze elettorali americane ad un mese dal voto. Insomma, quello venezuelano è un orizzonte tutt’altro che semplice, anche se -è vero, come è vero- sono più forze a muoversi, ed il Venezuela, in ogni caso non si farà trovare impreparato.
Massimiliano Lorenzo