Quando tutto tornerà al suo posto, ripartiranno anche la politica e i militanti nei loro spazi e nelle loro sedi. Ma la sinistra e i movimenti progressisti riusciranno a posizionarsi tra nuovo mondo e nuove forme di lavoro post Covid19? È lecito chiedersi, anche per il bene della democrazia, dove andranno partiti e movimenti della grande costellazione sinistrorsa? La miriade di partiti comunisti che fine farà? Ma, soprattutto, il Partito Democratico proseguirà la strada intrapresa da ormai 20 anni o cambierà rotta? Perché, è bene dirlo, se la politica e, in particolare, la sinistra, non riusciranno a leggere e rispondere alle modificazioni che probabilmente si produrranno, questa potrebbe essere l’occasione perché vengano spazzati via e ricacciati, forse, nei soli libri di storia.
In prima battuta, va detto che, guardando lo scenario odierno, a condurre serie lotte per i diritti dei lavoratori pare essere uno sparuto gruppo di sindacalisti e politici. Tra i sindacalisti, un nome su tutti spicca alle cronache per forza e coraggio: Aboubakar Soumahoro, 40enne di origini ivoriane, militante dell’Usb – Unione sindacale di base. È da alcuni anni ben visibile sulla scena politica e sindacale italiana, per le sue lotte a favore dei braccianti immigrati, sfruttati nei campi dai caporali e dalla mafia. Proprio in difesa di quegli uomini e quelle donne privati della dignità umana, dei più semplici diritti e di un salario almeno dignitoso, lo scorso 20 maggio Soumahoro ha condotto un grande sciopero dei braccianti, già importantissimi in tempi “normali”, ma rivelatisi questi fondamentali nell’emergenza sanitaria. Sono loro i lavoratori della terra che spesso sentiamo definire “invisibili”, perché senza documenti di riconoscimento o di soggiorno, tenuti sotto scacco da caporali e malavita organizzata, dagli stessi sfruttati per pochi euro al giorno, con contratti fasulli e buste paga non veritiere, quando va bene, resi esseri umani senza diritti, ai quali non viene riconosciuto nemmeno quello ad una abitazione dignitosa, e costretti a vivere in baraccopoli, bidonville e tende di fortuna. Aboubakar Soumahoro, appunto, è oggi una di quelle mosche bianche che ancora lottano per i diritti ed il lavoro, lui che ricorda sempre le parole d’ordine di Giuseppe Di Vittorio, il sindacalista del secondo dopoguerra.
Questa pandemia e tutte le sue conseguenze sociali, politiche ed economiche stanno cambiando, e continueranno ancora a cambiare, l’ambiente circostante in cui viviamo. Tutti ciò, non cambierà solo gli spazi del divertimento e della spesa, ma cambierà soprattutto, probabilmente, il lavoro e suoi addetti. Di conseguenza, politici, sindacalisti e militanti, dovranno anch’essi modificare l’approccio e studiare le contromisure perché il capitale non spazzi via loro e chi intendono difendere. Ad onor del vero, è questione risaputa e discussa da tempo, quella della rappresentanza politica e democratica, nella società e nei luoghi di lavoro. Più di tutti, però, dovrà essere la sinistra a doversi porre il problema di come affrontare i nuovi paradigmi del lavoro e dei diritti. Gli operai delle fabbriche rappresentano da sempre la figura cui riferirsi quando si pensa alla difesa dei diritti del lavoro, ma riferirsi solo a questi nella pretesa di rappresentare il mondo del lavoro è un errore grave e grossolano. Se la sinistra e la sua politica non vogliono restare semplici passi nella storia umana, italiana ed internazionale, da difendere, da oggi, più che in passato, dovranno essere i braccianti, i centralinisti, gli impiegati a vario titolo, studenti e, ancora, camerieri e rider. Una lunga fila di invisibili composta da chi raccoglie i tanto cari pomodori, da coloro che risolvono i problemi di connessione internet per 10 ore al giorno, da chi ci consegna il cibo al tavolo o direttamente a casa.
Ed ora, non possiamo che soffermarci su quei partiti che hanno fatto leva sugli interessi dei lavoratori per costruire la propria strategia in adempimento ai loro obiettivi ideologici, che si sintetizzano nella falce e martello, ovvero i comunisti. Chiariamo subito! In Italia, anche dall’estero, è stato portato avanti scientemente un progetto per la distruzione di soggetti e ideali comunisti, già dall’inizio della Repubblica italiana, da metà dello scorso secolo. Infatti, già di per sé sembrerebbe strano e anomalo parlare di partiti comunisti e non di un unico partito comunista, ma purtroppo tant’è per un mutamento dello scenario socio-economico, che ha condotto al soddisfacimento di tutti i bisogni primari, con la conseguenza della completa disgregazione della base elettorale. Questo non esclude che esistano degli indigenti, sui quali però non si può costruire tutta l’azione politica, che, invece, deve comprendere tutta la società. Non escluderli, ed includerli senza però focalizzarsi strettamente sul povero e sul bisognoso. Rispetto a ciò, il comunismo o i comunismi non sono riusciti infatti a dare una risposta adeguata, che va intercettata aldilà del consumismo e del benessere materiale, quindi il materialismo storico deve evolversi con la società stessa tutta. L’Italia, in linea con quanto detto, conosce ormai da trent’anni il disgregarsi continuo e inutile di tutti i partiti “della falce e martello”, che dovrebbero raccordarsi per trovare nuove soluzioni, superando le ragioni astoriche e fuorvianti rispetto all’orizzonte principale, di cui si è detto pocanzi. Proprio i comunisti che dell’unità d’azione hanno fatto una bandiera, proprio i comunisti che avevano coniato il termine “centralismo democratico” per definire quello schema novecentesco composto da dibattito interno e unità nelle strade. Un dibattito che però non è riuscito ad adeguarsi ai tempi e che necessità, invece, di una rivitalizzazione guardando al futuro. Per interessi personalistici e quasi per niente di partito sono riusciti a creare una “via lattea” di soggetti politici elettoralmente deboli e inconsistenti. Ancora, l’aspetto elettorale è secondario, sebbene importante, di fronte però all’essere riconosciuto e legittimato come avanguardia, soprattutto, da lavoratori e disoccupati, non mancando ovviamente di costruire una soluzione per tutti gli altri attori sociali. Oggigiorno osserviamo, infatti, assieme alla disgregazione più totale e orizzontale del voto “di sinistra”, e non potrebbe essere altrimenti quando dieci partiti che si definiscono comunisti preferiscono coltivare il proprio orticello, anche a movimenti nati a cadenza elettorale. Si pensi alla Sinistra Arcobaleno del 2008, Rivoluzione Civile del 2013 e Potere al Popolo del 2018! Anche e soprattutto, insomma, dovranno essere questi soggetti, a volte anche informi, a deporre le armi e riorganizzare un unico ed unitario partito comunista, altrimenti si continuerà ad arrancare in maniera sempre più sbiadita ed evanescente, ritrovandosi, alla fine, a breve, in una soluzione nullificata della società, da ricordo museale.
Per chiudere, non si può non fare riferimento all’ultimo figliastro di quello che era il più grande partito comunista d’Occidente, il PCI di Togliatti, Longo e Berlinguer: il Partito Democratico. Questa formazione nata da una riedizione del compromesso storico tra ex comunisti e ex democristiani ha ormai da tempo abbandonato ogni velleità che storicamente ha rappresentato la sinistra. Anzi, il Partito Democratico da Walter Veltroni sino a Renzi e Zingaretti ha fatto una grande opera di trasformismo, per diventare il partito personalistico a passo coi tempi, il punto di riferimento dei grandi industriali e non di lavoratori e meno abbienti, il partito delle banche e non degli studenti, perché mancanza di forza intellettuale. È vero, le sezioni di partito sono oggi luoghi ludici semi vuoti e con le luci spente. Dunque, bisogna andare oltre i vecchi schemi e il vecchio linguaggio, che in passato ha sicuramente prodotto tanto, ma oggi risulta inefficacie.
Massimiliano Lorenzo