Un territorio occupato con la forza: la Palestina – M. Lorenzo

Un territorio occupato con la forza: la Palestina – M. Lorenzo

           Spesso può accadere che un popolo vittima in un dato momento storico si trasformi in carnefice subito dopo, perpetuando violenza ed oppressione su un altro popolo. È questo il caso del popolo ebraico e del suo Stato di Israele nei confronti del territorio e della popolazione palestinese. Ancora oggi, infatti, l’operazione israeliana - e occidentale - nel Medio Oriente può essere portata come migliore esempio per spiegare la massima gramsciana: “La storia insegna, ma non ha scolari”. È sotto gli occhi di tutti, sebbene non tutti e non sempre lo ammettano, che la nascita dello Stato di Israele nei territori palestinesi sia stata una macchinazione geopolitica, guidata dai poteri anglosassoni, per stabilire un avamposto in quella fetta di pianeta, e infiammarla, dopo averla disgregata all’indomani del primo conflitto mondiale. In quel territorio, interamente abitato dal popolo palestinese da secoli, è stata praticamente innestata una guerra ineguale e lì si fa leva sullo spirito di rivalsa-resistenza, che qualunque popolo autodeterminatosi avrebbe se dovesse subire un’occupazione militare ed economica. E qui, non si tratta di antisemitismo o nazismo, anzi, si tratta di giustizia e di pace.

           Va detto che, quando si parla di questione israelo-arabo-palestinese pare quasi ci si riferisca ad eventi lontani nel tempo e a qualcosa di acquisito, di necessario e pacifico. Invece, al contrario, si parla di violenza e oppressione perpetuata solo dalla metà dello scorso secolo, di una situazione in continuo divenire, a scapito dei palestinesi. Ed ancora, si tratta di una sistemazione forzata per il popolo ebraico post-seconda guerra mondiale e di una guerra ineguale, appunto. Per capire la portata di questa storia, che possiamo definire assurda e senza logica, basta osservare come le due compagini sono composte sul terreno: da una parte, i palestinesi e gli arabi dotati di armi rudimentali come un sasso legato ad una corda e qualche missile di bassissimo livello, e dall’altra l’esercito, quello israeliano, il meglio equipaggiato della Terra. Ma non finisce qui! Difatti, nello scenario internazionale a difesa del popolo e dell’”esercito” palestinese abbiamo piccole o medie potenze militari. Mentre, a sostenere militarmente lo Stato retto oggi da Benjamin Netanyahu troviamo da sempre gli Stati Uniti, in primis, e gran parte dell’Occidente, Italia compresa, con alcune eccezioni nel periodo craxiano. Tragica risulta poi l’evoluzione della presenza fisica sul territorio, da quando lo Stato di Israele ha visto la sua istituzione, nel maggio 1948, ad oggi. Se subito dopo il secondo conflitto mondiale e al momento della sua nascita, Israele rappresentava un’enclave nel territorio popolato dai palestinesi, nel corso del tempo, attraverso azioni militari e occupazioni dei coloni ebraici di consistenti appezzamenti di terra, il popolo palestinese si è ritrovato a vivere praticamente in una riserva, senza diritti e senza poter utilizzare le risorse naturali, che pure gli spetterebbero.

           Proprio la questione dei diritti umani e del diritto, inteso come de iure, è la bandiera che Stati Uniti ed Occidente storicamente utilizzano come grimaldello per “esportare democrazia” con le guerre e per innestare il capitalismo con le leggi del mercato e le sanzioni economiche. Questo strumento vale soltanto, però, se può risultare utile agli interessi delle superpotenze, mai per la resistenza dei popoli oppressi, e la Palestina è l’esempio apicale. Quel diritto all’autodeterminazione è stato completamente spazzato via, quel diritto alla pace e alla sicurezza, tanto caro all’Occidente, non è contemplato per il popolo palestinese, che, possiamo dirlo, vive una condizione di apartheid e oppressione, proprio come gli ebrei in passato. Parliamo, dunque, di una solidarietà internazionale concessa solo al popolo israeliano, ma non a quello palestinese. Qualcosa è cambiato qualche giorno fa, però! Infatti, giusto lo scorso 11 giugno, la Quinta Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) di Strasburgo ha giudicato sul ricorso per una condanna inflitta in Francia ad alcuni attivisti pro-Palestina. Questo gruppo sostiene e si batte per il Boicottaggio, le Sanzioni e il Disinvestimento (BDS) nei confronti dello Stato di Israele, responsabile dell’occupazione illegale. La Corte, così, ha censurato all’unanimità quella condanna e, contestualmente, ha creato un precedente sul giudizio di tale pratica di solidarietà internazionale e lotta in sostegno del popolo palestinese. Sicuramente un passo significativo.

           Per terminare il discorso, si può affermare che Israele, oltre ad essere illegittimo, è uno Stato fondamentalmente violento, e che della violenza contro bambini, uomini, donne e anziani palestinesi ne fa una pratica quotidiana. Atti utili ad imporre la sua presenza fisica, politica ed economica, sotto l’egida degli Stati Uniti. Ancor di più oggi con Donald Trump, che ha pensato bene di spostare la Capitale israeliana da Tel Aviv a Gerusalemme, città e luogo fondamentale per tutte le fedi religiose e tutte le culture, ancor di più in quel contesto, dove si fronteggiano arabi-musulmani ed ebrei. La soluzione per la questione israelo-palestinese sin dall’inizio sarebbe quella di due Stati distinti, ma la sua messa in pratica è stata posticipata, a tal punto che i palestinesi rischiano di finire, sul serio, nelle riserve, e l’unico Stato a sopravvivere sarà quello di Israele. La seconda guerra mondiale non ha insegnato nulla e i consessi internazionali sembrano fatti da fantocci.

Massimiliano Lorenzo

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