Uscita dalla violenza, il difficile percorso delle Donne ed i numeri di ActionAid - Massimiliano Lorenzo

Uscita dalla violenza, il difficile percorso delle Donne ed i numeri di ActionAid - Massimiliano Lorenzo

            Si celebra domani, 25 novembre, la “Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne”, proprio in quel giorno, che nel 1960, tre delle quattro sorelle Mirabal, nella Repubblica Dominicana, furono assassinate per mano del dittatore Rafael Trujillo, perché oppositrici rivoluzionarie.

            Proprio per quel giorno in cui Patria, María e Antonia Mirabal trovarono la morte, ma solo a distanza di quarant’anni, nel 2000, è stata istituita dalle Nazioni Unite la giornata per ricordare quanto accade e per mettere in luce la necessità di lottare perché le donne non siano più vittime di violenza. E sempre secondo l’Onu, poi, tra le altre cose, sarebbero oltre un miliardo le donne ad aver subito sevizie, botte o qualsiasi altro tipo di violenza diretta ed indiretta.

            Come in tutte le battaglie dell’essere umano, per poter vincere e cambiare le sorti, non basta essere individui singoli, ma serve essere più corpi uniti. Come non basta, a maggior ragione in casi simili, sia solo chi è colpito in prima persona a dover prendere coscienza di ciò che accade, non possono solo essere le donne, appunto, a vedere la violenza di genere. Serve uno sforzo da parte di tutti, esseri umani di sesso maschile in primis. Ed è il medesimo discorso della lotta alla mafia, alle ingiustizie sociali ed ai pregiudizi. Non si può pensare, ancora, di impostare il discorso andando avanti per stereotipi.

            Ecco appunto, gli stereotipi, quelle categorie semplicistiche e superficiali che inducono ad una lettura spesso distorta della realtà e del proprio vivere in società. La società oggi, quella del 2020, talmente multi-forme, variegata di sensibilità e intrisa di multi-culturalità, dovrebbe essere capace di superare certi scogli e certi tabù ormai vetusti e “medievali”. “Questo lavoro non è adatto ad una donna” o “Datti ai fornelli” sono solo alcune delle espressioni che le donne ricevono, spesso dagli uomini. Quelle stesse donne che tante volte hanno insegnato al maschio come sopravvivere e lottare, come le staffette partigiane o le tabacchine, hanno insegnato la scienza e la pace, come Madame Curie e Rita Levi Montalcini. Solo per fare alcuni esempi. Ed ancora linguaggi violenti in amore (ma che amore non è), contro l’autostima della donna, o giustificazioni per abusi e assassinii: “Se non stai con me, non puoi stare con nessuno" o "Zitta, a nessuno importa quello che dici" o, ancora, "L’hai provocato tu, eri ubriaca”. Sono frasi che non devono essere accettate, da nessuno!

            Non deve accettarle la Politica e non deve accettarle il Giornalismo, ovvero proprio quei Mondi che delle parole fanno l’arma principale, che delle parole dovrebbero pesare significato e contesto. Perché la politica per prima non può lasciare che vengano sgomberati storici presidi di memoria e di lotta, di aiuto in prima linea nel momento della violenza subito dalla donna, come è accaduto alla Casa delle Donne Lucha y Siesta a Roma o alla Magnifica Occupata di Firenze. E le parole, appunto, hanno una carica potenziale sempre e nei titoli dei giornali ancor di più, dove si possono ritrovare ammiccamenti o giustificativi che non si possono accettare.

            Da tutto ciò, non può che discendere l’aspetto psicologico della violenza contro le donne. Poiché le parole sono destinate appunto per attivare l’elemento psicologico dell’essere umano. Infatti, non è meno importante la violenza psicologica di quella fisica sulle donne, sebbene più difficile da rintracciare e da fare emergere. Un lato della violenza, quello mentale, che proprio per quanto detto sin ora, non può essere tralasciato e trascurato all’atto della denuncia. Non perché la donna non giunga nei luoghi deputati a ricevere tali richieste con lividi o tagli sul volto, questo voglia dire che non abbia bisogno di sicurezza ed aiuto. Ed è ovvero innegabile che sia anche una questione educativa, è da come si viene educati a riflettere, discernere e apprendere ciò che ci circonda, ciò che l’altro o l’altra diversi da noi stessi prova a comunicarci o a come approcciare all’altro sesso, in che posizione ci si pone, che si scatena il domino, e la pretesa di dominio.

            Ed in Tempo di Covid l’emergenza della violenza di genere non poteva che aumentare. Perché è soprattutto tra le mura domestiche, all’interno delle quali tutti siamo più o meno confinati da un anno, che si consumano atti ed assassinii. Infatti, dopo aver registrato un calo durante la prima parte del lockdown di inizio pandemia, le richieste di aiuto al 1522, tra marzo e giugno 2020 sono più che raddoppiate rispetto all’anno precedente, superando la soglia dei 15 mila contatti. Ed il sistema antiviolenza, purtroppo, non poteva che subire una flessione con la crisi economica sviluppatasi anche con la pandemia, nella quale solo i centri antiviolenza (CAV) e le case rifugio hanno funzionato e continuato la loro sorveglianza, in un meccanismo pur mal gestito o bloccato.

            Pandemia e confinamento che hanno toccato gli aspetti economici di tanti settori, non ultimo quello dei CAV e delle case rifugio. Difatti, tutto il sistema di centri e strutture ha dovuto ridimensionare il proprio staff e le proprie risorse umane, per ragioni burocratiche e sanitarie, pur restando attivo. È proprio il monitoraggio di ActionAid a chiarirlo: solo il 10% dei fondi 2019, rientranti nell’attuazione del Piano antiviolenza 2017-2020, è arrivato ai centri. E come mai questo? Giustappunto il rapporto 2020 ci spiega che diverse sono le Regioni che non ripartiscono e non erogano i fondi, provenienti dallo Stato, come accade in Lombardia, in Calabria ed in Sicilia. Ritardi cronici e, orami, storici, purtroppo. E si badi bene, sono fondi destinati per Legge, la 119/2013 o legge sul femminicidio.

            E per venire ad i numeri, nel 2019 il Dipartimento per le Pari Opportunità aveva ripartito tra le Regioni italiane la somma di 30 milioni di Euro, dei quali 20 per il funzionamento delle strutture antiviolenza e 10 per il Piano. Ma sono solo 5, al momento, le Regioni che hanno utilizzato i fondi, per i quali il Ministro per le Pari Opportunità Elena Bonetti ha dovuto firmato un decreto per accelerare la procedura di erogazione. Ma solo le Regioni Abruzzo, Friuli Venezia-Giulia, Lombardia, Molise e Veneto hanno messo a disposizione i fondi.

            Come si è palesato in questa seconda ondata del contagio da Sars-Cov-2, la gestione e la prevenzione sono fondamentali. Un aspetto, come la prevenzione, indispensabile nella lotta alla violenza sulle donne, che evidentemente non sta funzionando, se vi è stato il bisogno di inviare una circolare ad hoc alle forze di polizia, per sensibilizzarle sulla violenza domestica e favorire così l’emersione delle richieste di aiuto da parte delle donne, ci dice ActionAid. La stessa organizzazione che ha poi esposto delle specifiche raccomandazioni per assicurare il funzionamento delle reti territoriali antiviolenza, per stabilire procedure operative standardizzate, per istituire un fondo nazionale per le emergenze e per potenziare le attività di sensibilizzazione e comunicazione.

            È fondamentale quindi non lasciare sole le donne, ad affrontare quella parte di uomini con un approccio ai sentimenti ed alla società distorto e violento. Non lasciare isolate coloro che subiscono violenza, quasi fosse una loro colpa, ma aiutarle a prendere coscienza che un percorso di uscita esiste, anche se può essere difficile e doloroso. Non abbandonare, come cattedrali nel deserto, centri e organizzazioni che si impegnano perché le donne trovino aiuto e rifugio quando gli uomini, compagni o meno che siano, sono violenti ed inumani.

Massimiliano Lorenzo

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