La capacità del design di rivoluzionare la quotidianità con un portato sorprendente di innovazione, ricerca stilistica e funzionalità avanzate, trova una delle sue massime espressioni nelle creazioni dei designer italiani del Novecento. Nella prima parte del nostro viaggio abbiamo incontrato due icone senza tempo: la lampada Arco Flos e la Olivetti Studio 42.
Proseguiamo questo viaggio accendendo i riflettori su due altri prodotti che hanno determinato profondi cambiamenti nel mondo del lavoro, da una parte, e in quello degli spostamenti su quattro ruote dall’altra. Andiamo a conoscere più da vicino le macchine da cucire Necchi e la prima mitica Fiat Panda.
La storica fonderia Necchi di Pavia negli anni Cinquanta avvia la produzione in serie di macchine da cucire, rispondendo alla crescente domanda di strumenti di lavoro affidabili, duraturi ed esteticamente in linea con le tendenze del tempo. In realtà quello su cui va ad incidere tale prodotto è molto più profondo e ha a che fare con la condizione della donna in quell’epoca e con le dinamiche del mondo del lavoro. Ogni acquisto della macchina da cucire Necchi include l’erogazione di un corso gratuito di taglio e cucito, oltre che quello di apprendimento del corretto utilizzo. Ogni singolo pezzo dei 325 che compongono una macchina da cucire Necchi viene sottoposto a controlli continui lungo tutta la linea di produzione per verificarne funzionalità e resistenza.
E si può dire che ogni singola vite e ciascuna componente meccanica costituisca un tassello per l’emancipazione della donna. Il collaudo finale è un’opera accurata. “Il compito di una buona macchina per cucire è quello di vestire l’umanità” recita un documentario del 1960 per la regia di Luciano Emmer. Con queste premesse, non è difficile comprendere come mai i progetti delle macchine da cucire Necchi abbiano vinto il Compasso d’Oro per ben due volte: nel 1954 con il modello Supernova e nel 1957 con il modello Mirella. La firma è la stessa per entrambe per le opere: Marcello Nizzoli. Opere, sì, non solo strumenti di lavoro, ma anche oggetti di design. Basti pensare che la Necchi Mirella è entrata di diritto nell’esposizione permanente del Museum of Modern Art di New York ed è lì a testimoniare i profondi cambiamenti di cui si è resa protagonista negli anni Cinquanta.
A distanza di qualche decennio, è ancora l’ingegno italiano a far nascere uno dei miti indiscussi del settore automotive, destinato a riscrivere le regole del settore con un cambio di rotta nella progettazione delle utilitarie.
L’esigenza della FIAT negli anni Ottanta era quella di realizzare un’automobile che sostituisse la 126, modello di punta degli anni Settanta insieme alla memorabile 127, e fosse in grado di varcare i confini nazionali con un respiro più Europeo. Il designer Giugiaro analizza i requisiti a cui deve rispondere il nuovo modello: più spazio per i passeggeri e i bagagli, una gestione ottimale dei volumi dell’abitacolo per garantire maggiori servizi in un ambiente compatto, un design che si rivolga ad un pubblico giovane. La matita di Giugiaro inizia a tracciare linee essenziali e più ruvide rispetto alla 127, con un approccio completamente diverso alla stessa concezione della vettura. Prende così forma, anche in questo caso tassello dopo tassello, il progetto di un’utilitaria Young – come si chiamerà uno dei modelli destinati ad una fascia d’età ben precisa. Nasce così la Fiat Panda: un pezzo di storia, l’emblema di una generazione, un’altra icona del Made in Italy.
Ancora oggi, con all’attivo milioni di vendite in tutto il mondo e nonostante i vari restyling con cui arriva ai giorni nostri, la Panda si fa portavoce di un’idea di libertà alla portata di tutti, senza perdere mai l’identità. Per il progetto della Panda, Giorgio Giugiaro nel 1981 conquista il Compasso d’Oro, lo stesso anno in cui l’architetto passa dalla presidenza della Giugiaro design division – costola della torinese Italdesign – a quella della Giugiaro Design Spa.
Tra le motivazioni della laurea honoris causa in Architettura assegnata dal Politecnico di Torino nel 2010 al designer piemontese, si legge “Per la competenza nel risolvere l'intuizione formale con tecnologie e tecniche efficaci e per la sensibilità nella comprensione e anticipazione della cultura, della economia, della domanda e del mercato”.
E ritroviamo in queste parole tutta la potenza di quell’energia trasversale che è il design, in grado di investire ogni sfaccettatura della realtà, reinventarla e ricomporla in linee e forme nuove, capace di diventare il simbolo di volta in volta di un’epoca diversa, facendosi portavoce di esigenze, priorità e… bellezza!