Salento Esoterico 6°: L'altra storia di Porto Badisco - di Grazia Piscopo

Salento Esoterico 6°: L'altra storia di Porto Badisco - di Grazia Piscopo

Tante sono le storie del nostro magico Salento, Terra amara e “fatigata” sicuramente, ma fertile sia di moltissime meraviglie naturali, uniche al mondo, sia di numerosissime storie misteriose, intrise di occulto e di antichi segreti. E così, con la nostra Rubrica ci spostiamo a Porto Badisco, frazione di Otranto.

    Nel 29 a.C., il sommo poeta Virgilio, nel III canto dell’Eneide, raccontando dell’approdo di Enea sulle spiagge salentine di Porto Badisco, dopo la disfatta di Troia. Ovviamente era inconsapevole che del piccolissimo porto pugliese, molti secoli dopo, ne avrebbe ancora parlato la Storia.

    Porto Badisco, ora nota località balneare, da più di mezzo secolo è al centro di una incredibile storia che ha appassionato, per singolarità e mistero, tutto il mondo scientifico e culturale: la scoperta di una antica grotta neolitica, nella desolazione carsica locale, venuta alla luce nel 1970, la quale rappresenta un bene inestimabile, inserito nel Patrimonio Mondiale della Umanità dall’UNESCO.

    Il 1° Febbraio 1970, cinque speleologi del Gruppo Speleologico P. De Lorenzis di Maglie, ovvero Severino Albertini, Daniele Rizzo, Isidoro Mattioli, Enzo Evangelisti e Remo Mazzotta, armati di forza e coraggio come tutti gli eroi, raggiunsero Porto Badisco, avventurandosi nella inospitale Valle dei Cervi, per attività perlustrative e di ricerca.

    Le infruttuose attività, la stanchezza e il freddo in quell’alba invernale, li avevano convinti di abbandonare “il campo” e ritornare a casa, quando Severino Albertini, capo-spedizione, speleologo per vocazione e restauratore per professione, dovendosi liberare urgentemente di inopportuni bisogni fisiologici, si dovette allontanare dal gruppo. Improvvisamente, nel luogo appartato, fu preso da irrefrenabile paura per la comparsa di un grosso serpente eretto, sbucato nelle immediate vicinanze. Ebbe appena il tempo di urlare, facendo così accorrere i suoi amici, che dalla fredda bruma invernale, comparve una anziana donna completamente vestita di nero, dalla testa ai piedi. Avanzando verso di loro, come se galleggiasse nella nebbia, pronunciò parole in stretto vernacolo locale: ”ITI ACCHIATU LU SERPE, MO TRUATI L’ACCHIATURA” (avete trovato il serpente e adesso troverete “l’acchiatura”). L’acchiatura è un dono stregato che soltanto potentissime fattucchiere, secondo leggenda, possono a loro discrezione elargire, ma tuttavia riscattando per sé stesse un oggetto del desiderio a loro scelta.

     Ignari di tutto ciò, non capendo profondamente le parole pronunziate dalla donna, incominciarono a scavare a dieci mani là dove era uscito il serpente, facendo luce piano piano sulla scoperta moderna più incredibile della Storia. Venne fuori l’ingresso con 4 corridoi-cunicoli polidirezionati estesi per poco più di un chilometro, di un monumento preistorico ricco di circa 3.000 pitture e grafiti policromati; utensili di uso comune di terracotta e per finire, nell’ultimo cunicolo, alcuni dei quali con accessi di soli 45 cm. di diametro, due scheletri scomposti, forse ultime vestigia degli indefessi e ignoti artisti. Memorie intatte, bagnate soltanto dal fiume sotterraneo Silur ora scomparso, risalenti a più di 6000 anni fa, al neolitico, insomma, e che hanno permesso di ridefinire scientificamente la trasformazione evolutiva dei nomadi di Badisco, provenienti dal centro Europa, in stanziali agricoltori e allevatori dediti alla lavorazione della ceramica.

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    Venne denominata Grotta dei Cervi, scoperta di eccezionale importanza, che avrebbe dovuto fornire ai cinque speleologi (a cui in seguito se ne aggiunsero altri due, Nunzio Pacella e il fotografo Pietro Salamina) fama, notorietà e ricchezza. Non fu così tuttavia. Purtroppo per un cortocircuito tecnico, fatto di lentezza, di carte bollate e comunicazioni ufficiali scoordinate al Sopraintendente alle Antichità di Taranto, prima che l’ufficialità fosse ottemperata, i nostri eroi furono danneggiati da pesanti denunce e da inevitabili oneri pecuniari.

    L’antica acchiatura aveva colpito ancora, e non solo per una “giurisprudenza borbonica e ottusa”. La stessa si estese anche sul bene più prezioso dei cinque esploratori: la vita. Uno dopo l’altro, in pochi anni, tutti e cinque vennero a mancare per inspiegabili e dolorosi invalidanti problemi di salute. L’eredità ai loro parenti più prossimi fu soprattutto il pagamento di pesanti oneri finanziari, derivanti dai garbugli amministrativo-giudiziari. Uno di loro, tentò di fuggire ed emigrò perfino in Cina, volendo così allontanarsi dal dissanguamento monetario e da una beffa infamante e maledetta.

    Ancora oggi per questioni di sicurezza e per un delicato microclima, la Grotta dei Cervi rimane oscurata e inibita al pubblico. Le parole di pietra dell’Uomo di Badisco che probabilmente, sacrificando sé stesso, ha graffiato la sua pelle trascinandosi negli stretti cunicoli per lasciare la memoria della sua vita e della sua civiltà, rimangono ancora nel buio e nel silenzio in cui sono nate.

   Un Ringraziamento va al sig. Luciano Faggiano, titolare e proprietario del Museo Archeologico Faggiano di Lecce, per le importanti e preziose informazioni per la redazione di questo pezzo giornalistico.

Grazia Piscopo

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