Comincia con il vecchio (Omero?) questo film di Edoardo De Angelis del 2023. E con un foglio su cui egli scrive dei versi, in greco antico. Il Comandante della Regia Marina Salvatore Todaro lo guarda perplesso, non sa cosa egli abbia scritto.
Non conosce la lingua, ma la legge degli uomini che vale soprattutto in mare, laddove non valgono ideologie e appartenenze ma l’imperio di salvare gli uomini. “Io affondo i ferri dei nemici senza paura, ma salvo i naufraghi”, dirà al suo alter ego, un amico al quale si può abbandonare e colloquiare in dialetto veneziano durante la traversata sul sommergibile che ha lo scopo di uscire dal Mediterraneo e affondare i mercantili nemici. Ma siamo in guerra, replica l’altro. Neanche la guerra può giustificare l’abbandono degli uomini in mare, qualsiasi sia la natura del loro naufragio – risponde il comandante, convinto che non possiamo dimenticare la nostra natura e il nostro comportamento solidale con gli altri, neppure nelle più drammatiche circostanze.
Siamo nel 1940 e l’equipaggio del sommergibile si prepara ad imbarcarsi. Sanno che la situazione è terribile e difficilmente riusciranno ad uscire vivi dall’inferno della loro missione, ma questo è il loro dovere di cittadini che servono la Patria. Questo non vuol dire derogare dalle regole degli uomini. Il legame di sangue, naturale, sovrasta le consegne e l’odio dei conflitti. Come Antigone che contravviene alle regole di Creonte, il re di Corinto. Il fratello Polinice è sangue del suo sangue e la legge di natura, come quella del mare, è superiore a quella degli uomini.
Al primo conflitto con un mercantile belga, che inaspettatamente fa fuoco contro di loro, Todaro risponde al fuoco e lo affonda, provocando il naufragio dell’equipaggio, una ventina di uomini. Che fare? Abbandonarli al loro destino o soccorrerli? Non può abbandonarli così in quelle condizioni e allora, dopo un breve discorso ai propri uomini, decide di traghettarli fino al porto più vicino, dapprima trascinandoli e poi imbarcandoli, anche se lo spazio sul suo sommergibile non consentirebbe il passaggio. Ma la legge della fraternità lo impone. Sono belgi gli altri e trasportano materiale bellico per gli inglesi con i quali dopo pochi giorni poi si alleeranno, saprà il comandante. L’accusa di alcuni di loro di essere “sporchi fascisti” lo farà imbestialire perché “noi siamo uomini di mare”, urla. E al tentativo di sabotaggio di due di loro risponde con la punizione inferta secondo le regole antiche: schiaffeggiare i colpevoli. A causa della loro presenza a bordo il sommergibile non può immergersi e rischia di essere fatto segno dalle navi inglesi che presidiano il porto ma Salvatore Todaro spera che anche di là valga la regola del soccorso. Glielo comunica via radio, chiedendo il lascia passare.
Un giovane naufrago studioso di lettere antiche decifrerà il messaggio in greco che gli ha consegnato sul foglio il vecchio poeta. Il duello fra Glauco e Diomede nell’Iliade, i quali riconoscendo il dovere dell’ospitalità interrompono il duello e si scambiamo le armi, andandosene in pace. Giunti al porto sicuro, i belgi non possono che ringraziare increduli il comandante che li ha salvati e gli chiedono perché lo abbia fatto, confessando che se si fossero trovati loro in quelle circostanze non li avrebbero salvati. “Perché siamo italiani!”, risponde Todaro, eredi di una cultura millenaria che rende l’uomo degno, pur nella diversità e nella conflittualità, di essere riconosciuto nella sua dignità. E così riprendono il mare, consapevoli dei pericoli al momento scampati ma sempre in agguato. Difatti il comandante morirà in Tunisia nel 1942.
Ma quella consapevolezza antica fa da sfondo al presente, alle difficoltà e ai naufragi di cittadini che navigano alla ricerca della terra promessa, una terra che sappia accogliergli come parte dell’umanità che non deve mai dimenticare le leggi della sopravvivenza e la necessità di soccorso. Specialmente in mare. Un’altra grande prova artistica di Pierfrancesco Favino e del regista Edoardo De Angelis nell’affrontare una tematica purtroppo attuale nella sua drammaticità, dalla quale se ne può uscire solo con una dose maggiore di umanità e non negandola. Da vedere, 120 minuti di tensione e di situazioni al chiuso in un sommergibile che assomiglia tanto alla nostra condizione alla ricerca di una salvazione possibile.
Paolo Rausa