Questo connubio fra due paesi che più diversi non si può ha portato Hector Carasco detto “Mono”, come molti altri profughi cileni, a riparare nel nostro paese e a trovare terreno fertile per continuare e sviluppare la loro arte rappresentativa delle aspirazioni dei popoli sui muri di qualsiasi struttura, purché manifestata collettivamente.
La genesi di quest’arte, perché di arte si tratta nonostante il parere contrario di qualche saccente critico, con i suoi inizi, le sperimentazioni, gli sviluppi e gli esiti sempre coinvolgenti, avviene in Messico, come racconta Mono nella sua esposizione, il suo flusso di coscienza, la trepidazione per la sua terra intrisa di povertà ma sublimata dal desiderio di colmare il divario di povertà dei ceti popolari, operai o campesinos che fossero. Dal Messico si propaga in Cile negli anni ’60 e ’70 come strumento di comunicazione e di incitamento alla lotta per migliorare le condizioni di vita delle classi infime.
Un Cile che attraverso il progetto di Unidad Popular, che aveva trovato in Salvador Allende il degno rappresentante, vedeva realizzare i sogni e le aspirazioni dei ceti subalterni e delle sinistre unite al potere dominato fin allora dalle grandi famiglie di possidenti terrieri, industriali e commercianti, banchieri e detentori delle ricchezze del paese, miniere e materie prime e capitali, finanzieri e militari. Una condizione comune in America Latina. Ecco perché il processo politico istituzionale in atto nel Cile fu ferocemente contrastato fino alla repressione più brutale dagli Stati Uniti d’America che si facevano scudo delle élites locali e dei militari spietati nella repressione. La possibilità intravista di cambiare le forme di governo era sostenuta dal popolo e dagli artisti che avevano trovato espressione nell’arte pittorica e nelle canzoni andine tradizionali, che celebravano il sentimento delle masse popolari unite finalmente per dare una possibilità diversa al governo.
Fioriscono così le brigate che assumevano il nome di personaggi della letteratura o della lotta (per es. Pablo Neruda e Ramona Parra) e gruppi musicali come gli Inti Illimani o i Querilapayùn) oppure singoli cantanti come Victor Jara, che fu rinchiuso nello stadio del Cile dalla Giunta militare guidata da Pinochet e barbaramente amputato delle dita in spregio alla sua arte di suonare la chitarra e poi massacrato insieme a molti altri oppositori. Questo il clima in Cile dopo il golpe dell’11 settembre 1973, che determinò il rovesciamento del governo Allende e la repressione di democratici e artisti che si erano distinti per aver sostenuto con la loro attività il processo di democratizzazione. Chi non perì sotto i colpi della dura repressione militare scelse la via di fuga rocambolesca. Un ruolo di primo piano nel tutelare i fuggitivi lo svolse l’Ambasciata d’Italia, che accolse numerosi cittadini (fino a 800) e li condusse in salvo (come testimonia il film di Moretti Santiago). Mono Carrasco fu tra questi. Il suo racconto nel libro parte dai suoi primi passi, dalla famiglia, dal gioco a calcio, dalla sua sensibilità in difesa delle classi popolari che trovò una forte espressione nell’arte dei murales, grandi manifesti che inneggiavano alla unità contro lo strapotere delle classi dominanti.
L’arrivo in Italia nel 1974 fu la sua salvezza, ma questo non volle dire dimenticarsi del Cile come non potevano farlo le altre migliaia di profughi e gli stessi Inti Illimani che si trovavano in Italia, di ritorno da un tour in Russia, e qui rimasero quando la reazione militare rovesciò Allende. Pian piano ricostituirono le loro Brigade artistiche e si posero a disposizione per rimarcare el derecho de vivir en paz, come aveva cantato Victor Jara. In Italia intanto si diffondeva la solidarietà sociale e politica. I profughi venivano accolti dalle comunità politiche locali e in cambio lasciavano il segno della loro presenza nei murales, dove campeggiavano figure popolari che impugnavano un fiore o la bandiera per contrastare gli aerei e le armi distruttive delle ricche aristocrazie aiutati dagli americani.
Figure semplici come quella del murale di San Giuliano Milanese eppure molto significative, coloratissime, con la scritta onnipresente che el pueblo unido jamàs serà vencido. Così istituti scolastici, fabbriche, quartieri offrivano le loro superfici vuote per una rappresentazione di speranza e di futura vittoria. Mono racconta le sue peregrinazioni in molte città italiane e anche all’estero, a Berlino, a Cuba, ovunque fosse richiesta la forza evocativa del suo pennello. Straordinario il concerto degli Inti Illimani all’Arena di Verona durante il quale Mono e la sua Brigata Ramona Parra realizzavano il murale, partecipando in questo modo al clima di resistenza contro il potere militare. Grande fu quindi la soddisfazione quando venne eletto di recente il giovane presidente cileno, il 36enne Gabriel Boric Font, che ha vergato l’introduzione al volume. “Questo non vuole essere un libro di ricordi, scrive Mono Carrasco, e di memorie, ma il racconto di una storia vissuta, il diario di viaggio di una esperienza accumulata”, sempre collettivamente, messa a disposizione dei giovani che alzeranno la bandiera della libertà e dell’arte, con la quale egli continuerà a cimentarsi “fino all’ultimo respiro o pennellata”. FuroiAsse Edizioni, Torino, giugno 2023.
Paolo Rausa