Kary Mullis, Ballando nudi nel campo della mente – Paolo Rausa

Kary Mullis, Ballando nudi nel campo della mente – Paolo Rausa

          Da dove cominciare con Kary Mullis (1944-2019), scienziato americano, Premio Nobel nel 1993 per la Chimica, è molto complicato. Non certo per mancanza di simpatia che ci giunge dal suo saggio “Ballando nudi nel campo della mente”, già un presagio, ma per la vastità degli interessi e per la libertà totale della sua mente, de/nudata per poter accogliere tutte le suggestioni che provengono dallo studio, dalla esperienza, sperimentazione e anche dalla visione sovrumana sospinta e allargata dall’uso di oppiacei. Quell’LSD, acido lisergico, diffuso tra la generazione degli hyppies, negli anni caldi della contestazione studentesca. Era il 1968-69 quando i giovani misero in discussione una cultura al servizio del potere ‘imperialistico’, che opprimeva i popoli in lotta per la libertà e l’indipendenza, primo fra tutti il Vietnam. Allora sorse un movimento internazionale giovanile unito dall’idea di pace universale. “Con Mercurio e Marte in congiunzione in Sagittario era improbabile che io mi specializzassi in qualcosa di gestibile e chiaramente definito che non fosse la biochimica. Sarei diventato un biochimico o un astrofisico. Mi soffermai su entrambe le cose. Era il 1966. Alla fine il mio corpo vinse.”, confessa Kary Mullis, e più avanti aggiunge che la biochimica era più divertente, e lo è tuttora, insiste. Complice certo la madre che già a sei anni gli donò un piccolo laboratorio di chimico, fornendogli così un suggerimento prezioso.

        Il saggio del Kary Mullis è un viaggio nella sua vita alla ricerca di sé stesso, alla conquista delle leggi che sovrintendono la vita sulla terra, fra gli elementi e nell’essere umano. Seppure i suoi compagni di studi fossero scettici sulla sua riuscita come scienziato, di promettente studioso che amava oltre alla scienza, anche le donne e il surf, Kary Mullis era divertito dalla composizione e scomposizione degli elementi, come possibilità di aiutare l’umanità a debellare le malattie più gravi agendo sul DNA. Giunse così ad inventare la reazione a catena della polimerasi (PCR), una procedura che avrebbe reso la struttura delle molecole che accompagnano i nostri geni visibili “come tabelloni pubblicitari nel deserto e maneggevoli come soldatini di piombo”, premiato nel 1993 con il Nobel per la Chimica. La procedura era stata pensata per diagnosticare le malattie, esaminando la mappa genetica di un individuo, ma anche per scoprire patologie infettive. “Voglio che i miei occhi continuino a vedere, il mio cuore a battere, e che le eccitanti funzioni sessuali continuino a funzionare.”, propositi che costituiscono la molla che spingono Kary Mullis ad affrontare i misteri della vita e nello stesso tempo produrre sostanze che abbiano effetti significativi su qualsiasi forma di vita e che potrebbero aiutare a guarire il midollo spinale, curare il diabete, ecc. La sua eccentricità e la sua eresia, le sue roventi polemiche contro gli scienziati accusati di spillare soldi pubblici solo per un senso di conformazione e adesione al potere e all’economia non traggano in inganno.

          Kary Mullis è uno scienziato che crede nelle sperimentazioni, ritornando allo spirito originario di Roberto Boyle, nel XVII secolo, che giunse a separare la scienza dalla dottrina religiosa e dalla morale. Per questo polemizza aspramente contro gli scienziati che hanno asserito dei concetti senza dimostrazione. Vale per la dichiarazione che il retrovirus HIV sia la causa dell’AIDS, oppure per le convinzioni che attribuiscono alle attività umane il surriscaldamento del pianeta. E va anche oltre, recuperando le forme della cultura popolare. “Come può qualcuno definirsi uno studioso del comportamento umano senza studiare un po’ di astrologia?”, si chiede polemizzando contro psicologi e sociologi i quali pensano, sbagliandosi, che l’astrologia sia una sciocchezza. “Io sono nato alle 17,48 ora di Greenwich del 28 dicembre 1944 a Lenoir, Caroline del Nord. E questo vi fornisce più informazioni su di me di quelle che potete trovare in questo libro.”, restituendo così dignità ad una pratica nata 5000 anni fa in Cina e in Babilonia, “civiltà che studiavano i cieli per cercare di capire meglio la vita sulla terra”. Le sue conclusioni sono saggie e mettono in guardia dalla tracotanza umana, la hubris greca, sostenendo che “il comportamento più adeguato per un essere umano è di sentirsi vivo e umile di fronte all’immensità del tutto”.

Paolo Rausa

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