“Nessuno mi vuole e ne vado fiera”, un manuale di educazione sentimentale -mi piace chiamarlo così!- di Maria Teresa Giaffreda donna del Sud dell’Italia, nata in Calabria e vissuta finora a Parabita (Le), è un documento biografico di formazione. Nel senso che cresce man mano che si accavallano le esperienze sentimentali, non senza lasciare l’amaro in bocca.
Maria Teresa è una bella fanciulla che sconta, come dice lei, “la maledizione della bellezza”. Viene cercata, invitata, oggetto di promesse da marinai ma quando la fase successiva richiede un impegno da parte degli uomini, questi rifuggono, non se la sentono di impegnarsi in un rapporto duraturo. Passa in rassegna varie tipologie di uomini, dal violento che non disdegna lo stalking, all’uomo che vive la sindrome di Peter Pan, restando bambino, sino al manipolatore affettivo narcisista, definito il peggiore da Maria Teresa, l’approfittatore che esalta la sua vittima predestinata, la eleva al cielo per poi abbatterla e atterrarla con gravi consegue fisiche, affettive e psicologiche, vissute dall’autrice sulla sua pelle.
Ha trascorso in questo modo una serie di rapporti che l’hanno sfiancata, addolorata e sfiduciata, infine prostrata. Le sue condizioni di salute si sono aggravate sul piano psicosomatico, fino alla comparsa di stati d’ansia, panico, depressione, cistiti, voglia di abbandono e di solitudine disperata. Sembrava un caso difficilmente recuperabile, Maria Teresa, eppure è da quest’ultimo rapporto che è nata la sua rinascita, la comprensione di sé, la ricerca del suo equilibrio interiore, il desiderio di riprendere gli studi in comunicazione giornalistica brillantemente affrontati e conclusi con la massima votazione.
La consapevolezza delle proprie qualità, la conquista della ricerca dentro sé stessa hanno portato Maria Teresa a raccontare questa esperienza e questo percorso di salvazione. Indica così una strada alle donne e anche agli uomini per evitare il turbinio di passioni e le delusioni che ne seguono. In questo senso il suo libro ha un alto valore didascalico e assume la funzione di manuale di educazione sentimentale. Mettendo in guardia le donne dall’errore di “innamorarsi non di un uomo ma di un sogno” e di “sognare ad occhi aperti un uomo che dia senso alla nostra esistenza!”.
I suoi propositi sono espressi chiaramente laddove dichiara che il libro “persegue la speranza di aiutare le donne in una crescita e in una consapevolezza personale, ma anche molti uomini a comprendere dinamiche comuni e soprattutto a conoscere meglio questo affascinante e complesso mondo femminile”. E allora le donne si devono guardare dal “sigillarsi in rapporti deludenti facendoseli bastare, trascurando di conseguenza i propri gusti e desideri”, percorrendo in questo modo una strada di sventure e infelicità. Occorre riprendere il dominio di sé, non delegando i propri sogni ad individui che non hanno la sensibilità necessaria a realizzarli, anzi al contrario che li annegano nell’umiliazione e nella violenza, quando si mette in discussione il loro ruolo di padroni della nostra vita. Maria Teresa insiste a definire le finalità del suo scritto, “un libro che non vuole demonizzare l’amore e gettare ombra sui rapporti interpersonali, ma che cerca di dare una spiegazione e soprattutto un’alternativa a un mondo che sta procedendo verso un impoverimento dei sentimenti, obbligandoci ad investire soprattutto su noi stessi”.
Col passare del tempo Maria Teresa acquisisce consapevolezza e riconosce al libro funzioni sociali, culturali e didascaliche. Soprattutto attraversa con uno sguardo impietoso la realtà della condizione femminile sulla mancanza dei diritti o sulla loro non piena conquista rispetto all’uomo, analizza il comportamento violento di molti partners maschili che esercitano violenza bruta fino all’annientamento delle loro compagne quando queste denunciano i comportamenti lesivi delle loro personalità e dei loro corpi se cercano di liberarsi del gioco oppressivo. Perciò chiama tutti, uomini e donne, a cercare di comprendere che la libertà e il sentimento d’amore non tollerano violenze di genere, che bisogna far cessare per far progredire la società nel suo insieme.
Le donne sono definite “equilibriste” perché devono fare i salti mortali per affermarsi nelle professioni e nelle funzioni pubbliche e in più per assicurare i servizi essenziali alla famiglia. Sono come quelle statuette esposte al Museo Archeologico di Taranto, le donne acrobate che danzano al ritmo dei bisogni degli altri. Al termine di questo “viaggio pazzesco” Maria Teresa si augura “di aver fatto conoscere meglio anche agli uomini questo bellissimo, complicato e affascinate mondo femminile”, augurandosi “di aver aiutato molte donne a rispecchiarsi nella sua storia, a non sentirsi sole o diverse, a reagire, a combattere e ad amarsi di più”. E’ un augurio che condividiamo con tutto il cuore.
Paolo Rausa