Il tempo. Cos’è il tempo? È un’idea, un concetto, ma è anche una dimensione, una delle dimensioni all’interno della quale ci muoviamo e che di rimando definisce anche l’altra, quella dello spazio. Ed è anche una convenzione che ci siamo dati per la nostra comodità, per poter stabilire delle relazioni tra quella parte della nostra esistenza, non sempre, anzi quasi mai dell’essenza, che interagisce con quella degli altri. Ma non ha soltanto una funzione oggettiva, perché come tutto ciò che ha a che fare con la percezione, ha una dimensione fortemente soggettiva.
Per qualcuno può essere un odore, il ricordo olfattivo di una dolce prelibatezza, per qualcun altro è un coagulo energetico che rende fenomenica la materia, che consente cioè alla materia di rendersi manifesta. Può avere una valenza fortemente presente nel ricordo di un’esperienza che si mantiene viva al cuore, che viene cioè riportata al cuore con tutta la carica emotiva del momento in cui si è vissuta. I momenti salienti della nostra esistenza, l’incontro con la persona amata, la prima volta che si è, felicemente o meno, appreso che si era in procinto di diventare madre o padre, l’attimo incantato in cui ci si riconosce nell’altro, nel proprio prossimo sono solo alcune delle tante esperienze che tracciano nella nostra memoria un solco perennemente nascente, il quale oltrepassa ogni confine prettamente fisico, come se la materia non ne fosse che il prezioso distillato, il prodotto ultimo di un accordo di matrice platonica per il quale, ci si riesce, in qualche modo a intendere.
E qui sento levarsi il coro dei romantici, degli esistenzialisti ma anche dei decadenti, i quali rivendicano la possibilità reale di ciò che sfora gli accordi di pura convenzione. E come tralasciare il realismo magico che, nella narrazione, rende possibile qualunque salto spaziotemporale. Del resto, credo che a ognuno di noi sia capitato, almeno una volta nella vita, di ravvisare su un volto amico lo sgretolarsi dei segni del tempo: per una particolare condizione di estrema felicità i tratti del suo viso appaiono distesi, le rughe si attenuano a volte fino a scomparire, una nuova energia sembra pervaderlo.
Al contrario stati di sofferenza continua conducono a forme manifeste di invecchiamento precoce. Si tratta di una sbavatura, la stecca nel preludio di un’aria particolarmente riuscita? Più che una frazione, sembrerebbe un frangersi del tempo, un’incrinatura della cosiddetta freccia del tempo, quella linea che segna il lento passaggio dalla nascita alla morte e che non denota indici di reversibilità? D’altra parte la radice indoeuropea tem sta proprio a indicare un taglio, uno stacco.
E da cosa ci può essere uno stacco e un distacco se non dall’intero? Cioè da una forma di armonia nell’ambito della quale la derivata tempo non ha alcuna ragione di essere? Quell’armonia che ritroviamo in ogni campo d’indagine della conoscenza: nella dialettica tra tesi, antitesi e sintesi di hegeliana memoria, nel superamento dell’io, non io nel super-io o ancora nella costante diatriba dell’ego, es, super es in psicanalisi, e poi dell’inconscio junghiano in perenne archetipica tensione attraverso il sé, nella forma sia individuale che collettiva, con l’io, cioè con la parte cosciente, ma non sempre consapevole. Non dimenticando le soluzioni trinitarie presenti in larga parte nelle dottrine religiose. E Andando tutte queste riflessioni a coincidere con il DNA, versione scientifica, a livello, molecolare e atomico del soffio vitale, che tanto ricorda il concetto di anima, veicolato attraverso la sua struttura elicoidale.
Così ci si può spingere a gettare lo sguardo oltre la curva dell’orizzonte di Hawking per incontrare l’abbraccio eluso tra materia e antimateria, fotone e anti fotone, pena appunto l’annullamento di ogni divisione, anche temporale, nell’armonia perennemente presente del tutto. Una divisione che trova la sua ragione in nient’altro che non sia la nostra volontà, con tutta la responsabilità e tutte le conseguenze che questo comporta:
Noi che il tempo
abbiamo creato e
le ore.
Noi che stabilimmo
un prima e un poi
e li attorcigliammo
a rincorrersi.
Noi che decidemmo
un qui e un là
e non eravamo
che entrambi.
Noi, per questo,
invecchiammo.
Da “Sorrisi segreti” di Rossella Maggio (Ed. Kimerik 2016)
Rossella Maggio