Ecco che si avvicina la fine dell’estate, si avvicina la ripresa di molte attività e come in ogni momento di passaggio anche da una stagione all’altra, anche dalla notte al giorno, la dea Matuta ha il suo bel daffare per condurci nel viaggio dal buio alla luce. Il viaggio. Ecco una parola che può fare da ponte tra la villeggiatura appena trascorsa e la ripresa. Il viaggio. Il viaggio di ritorno. Una parola che significa molto, che affascina, una parola che sta in piedi da sola con tutto il suo senso. Una parola-frase.
Vengono in mente i bimbi piccoli e lo sviluppo del linguaggio, processo che nel suo insieme risulta ancora misterioso agli studiosi, quando con una sola parola dicono una frase: “acqua” per esempio per dire “voglio l’acqua”.
Allo stesso modo la parola “viaggio” apre mille scenari possibili. Talmente tanti da abbracciarli tutti se si pensa anche solo all’intero viaggio della vita, dall’andata a quello che speriamo sia un ritorno. Ma ci sono buone possibilità che sia proprio così. Ma non addentriamoci in questi territori, in fondo sono una divagatrice che viaggia qua e là tra l’analogico e il digitale. Lascerò anche perdere l’idea che il vero viaggio lo si compie da fermi senza spostarsi da casa, avete mai praticato con costanza la meditazione? Erich Fromm la definisce la più alta attività dell’anima, possibile solo in una condizione di intima libertà e indipendenza.
La parola viaggio infatti evoca spesso anche la parola libertà e come non porsi la domanda di quale libertà sia possibile se c’è attaccamento al proprio piccolo io. Il mio Einstein mi viene sempre in aiuto e conferma: “il vero valore di un uomo si determina esaminando in quale misura e in che senso egli è giunto a liberarsi dall’io”. Dunque cos’altro potremmo temere? Ma arrivare a questo traguardo richiede forse la durata dell’intero viaggio della vita.
Albert Camus scriveva che il valore del viaggio è nella paura. Si tratta di alcuni appunti scritti su un taccuino di viaggio alle Baleari nel 1935 dove racconta cosa si prova lontani dal proprio paese e dalla propria lingua. Della nostalgia. Letteralmente dal greco: “il dolore del ritorno”. Certo parlando di viaggio ciascuno di noi sa di cosa si parla per la stessa ragione de “viaggio, viaggiare” come canta De Andre’ e qual è il suo senso profondo ma a me piace dirlo con una canzone che racchiude in maniera profondamente poetica il viaggio interiore ma anche quello fisico, come quando prendi un aereo e vai dall’altra parte del mondo. Insomma, come ha fatto l’aviatore statunitense Charles Lindbergh nel lontano 1927 quando in 33 ore di volo in solitaria senza scalo compì una traversata da New York a Parigi.
Il viaggio si conclude qui proprio con le parole della canzone “Lindbergh” che Ivano Fossati gli ha dedicato e ha dedicato a tutti i viaggiatori nostalgici come me:
“Non sono che il contabile dell’ombra di me stesso
Se mi vedete qui a volare
È che so staccarmi da terra e alzarmi in volo come voialtri stare su un piede solo.
Difficile non è partire contro il vento.
Ma caso mai senza un saluto.
Non sono che l’anima di un pesce con le ali
volato via dal mare per annusare le stelle
difficile non è nuotare contro la corrente
ma salire nel cielo e non trovarci niente.
Dal mio piccolo aereo di stelle io ne vedo
seguo i loro segnali e mostro le mie insegne.
La voglio fare tutta questa strada
fino al punto esatto in cui si spegne. “
Buon viaggio a tutti!