Proviamo per un attimo a pensare di voler comunicare a un nostro interlocutore la necessità che egli distolga la propria attenzione dall’elefante. Se gli dicessimo, direttamente: “non pensare all’elefante”, quale sarebbe la prima immagine che si formerebbe nella sua mente? Esattamente un elefante, almeno per qualche frazione di secondo. Questo perché il nostro cervello non è stato programmato per elaborare in modo innato la negazione, mentre questa operazione mentale viene compiuta in un momento successivo e coscientemente, seppure in tempi davvero brevissimi.
Questo semplice e famoso esempio viene portato a supporto dell’affermazione per cui saper parlare non vuol dire, necessariamente, saper comunicare. La parola “comunicazione” deriva dal greco antico koinós, aggettivo che significava, riferito alle cose, comune, appartenente a tutti, e quindi pubblico. La comunicazione, quindi, consiste nel mettere insieme, scambiare informazioni, conoscenze, bisogni, atteggiamenti, emozioni e percezioni tra soggetti coinvolti in un determinato contesto spazio-temporale su tematiche comuni. Non è pertanto un passaggio unidirezionale di notizie e di informazioni, ma è anche e soprattutto uno scambio.
Tornando all’esempio dell’elefante, il cervello si sintonizza sull’oggetto a cui è rivolta la nostra attenzione, e poco importa se la nostra intenzione fosse di evitare quelle condizioni. Inevitabilmente, avremmo fatto passare la cosa, in questo caso, che avremmo invece voluto evitare. Ampliando il discorso, questo fenomeno avviene anche quando, telefonando a qualcuno, esordiamo chiedendo: “disturbo?”. Ebbene, la prima sensazione che evochiamo, in tal caso, è proprio quella del far pensare al nostro interlocutore che potremmo disturbarlo, anche se la nostra intenzione era quella di essere discreti e gentili. Poi magari la conversazione procederà nel migliore dei modi, ma il rischio di insinuare l’idea che stiamo disturbando è altissimo.
Questo è un piccolo esempio di quanto la corretta comunicazione non sia appannaggio soltanto di esperti e studiosi del settore, ma appartenga alla nostra vita quotidiana e ai nostri rapporti sociali spiccioli. Quando diciamo qualcosa a qualcuno, infatti, non gli passiamo soltanto un’informazione ma esprimiamo – attraverso il tono, la postura e la scelta delle parole – in che relazione ci poniamo nei suoi confronti.
Ogni volta che ci rapportiamo con qualcuno, che sia un semplice conoscente, un collega di lavoro o una persona con la quale abbiamo un legame affettivo, e qualsiasi sia il mezzo utilizzato, dovremmo sempre prestare attenzione alla relazione che veicoliamo, perché potrebbe far risultare controproducente la comunicazione. Questo non vuol dire che dovremmo diventare tutti tecnici o esperti della comunicazione, ma quantomeno sarebbe opportuno sforzarci di immaginare o prevedere che tipo di reazione possiamo provocare pronunciando una frase in un modo piuttosto che in un altro, oppure utilizzando determinate espressioni che potrebbero apparire offensive o comunque negative nei confronti del nostro interlocutore. In questo senso, tra l’altro, l’avvento delle nuove tecnologie ha drasticamente ridotto la capacità di ascolto, che è fondamentale nella buona comunicazione.
Ascoltare non soltanto le parole e le risposte dell’interlocutore, ma anche verificarne le reazioni emotive attraverso il suo atteggiamento corporeo e le sue espressioni è fondamentale se si vuole fare comunicazione efficace. L’invio di messaggi unidirezionali, spesso informali e asettici, non favorisce certamente le capacità di comunicazione. Veicolano informazioni rapidamente, certo, ma non c’è possibilità di avere un riscontro immediato, in quanto spesso non è dato sapere in che momento e in che contesto il ricevente le elabori. Saper comunicare prevede la capacità di saper riconoscere innanzitutto le proprie emozioni e i propri bisogni e di saperli comunicare agli altri, insieme alle nostre idee e richieste, ma il tutto nel reciproco rispetto, riconoscendo anche i diritti e i bisogni dell'altro, cosa che troppo spesso si tende a sottovalutare o, addirittura, a ignorare. Non è detto che il nostro diritto a essere arrabbiati, delusi, stanchi, debba trasformare la nostra comunicazione in un fiume di parole e pensieri negativi che vanno a inondare lo stato d’animo altrui.
Spesso la libertà di essere sé stessi si trasforma in aggressività, verbale ed emotiva, e la qualità della comunicazione ne risente, inevitabilmente, in maniera tanto più negativa quanto più l’interlocutore non è disposto ad accettare un ruolo passivo. La parola chiave da utilizzare dovrebbe essere l’assertività, ovvero la capacità di raggiungere un equilibrio tra l’espressione dei propri bisogni e lo spazio per quelli altrui. Sembrerà scontato, ma essere assertivi è alla base di una buona capacità comunicativa. Essere assertivi vuol dire non giudicare gli altri, accettare il loro punto di vista, cercare la loro collaborazione.
Quando si è assertivi, si è pronti a cambiare la propria opinione e, a tal proposito, è noto l’aforisma di Einstein, per cui “la misura dell'intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario”. Non si pretende che gli altri si comportino come fa piacere a noi ma si ascoltano, pur prendendo le proprie decisioni in modo autonomo. Allo stesso tempo, non si permette che gli altri ci manipolino o che siano aggressivi con noi, ma si evita anche di farli sentire in colpa o inferiori a noi. In definitiva, essere assertivi vuol dire essere in grado di comunicare le proprie emozioni e i propri stati d’animo senza tuttavia mettere gli altri a disagio. Tutto ciò richiede un'assunzione di responsabilità, di esporsi e mettersi in gioco, e richiede infine fiducia in sé stessi e nell'altro. Se questa operazione, che in realtà è un’arte, può essere complessa, tuttavia ci permette di sentirci coerenti con noi stessi e di instaurare relazioni autentiche.
Se comunicare è da ritenersi un’arte, come già affermava Marco Tullio Cicerone nel primo secolo avanti Cristo, ne consegue che si presenta del tutto naturale che qualcuno sia provvisto di maggior talento e qualcun altro ne abbia di meno. In ogni caso, sarebbe opportuno che ognuno si sforzasse di mettere in pratica una semplice regola: non dire agli altri ciò che darebbe fastidio sentire nei propri confronti. Così facendo, forse non tutti diventeremmo degli esperti in comunicazione, ma probabilmente la nostra capacità di rapportarci agli altri ne trarrebbe grandi benefici, apportandone, di riflesso, anche a noi stessi.
Matteo Gentile