L'imbarazzo dell'Ornitorinco - di Matteo gentile

L'imbarazzo dell'Ornitorinco - di Matteo gentile

          Non ci è dato sapere se l’ornitorinco sia davvero in imbarazzo per il posto in cui la scienza lo colloca nella classificazione degli esseri viventi. Seguendo un semplice schema di flusso, infatti, dopo appena due risposte ad altrettante domande, questo simpatico animaletto, che vive nella parte orientale dell'Australia e nella Tasmania, viene collocato tra i mammiferi. “Ha uno scheletro interno e una colonna vertebrale?”: sì; “allatta la prole?”: sì. Allora è un mammifero.

       Tuttavia, approfondendo l’argomento, si scopre che l’ornitorinco è una delle cinque specie ancora esistenti che fanno parte dell'ordine dei monotremi, gli unici mammiferi che depongono uova invece di dare alla luce dei piccoli. Tra l’altro, la temperatura corporea dell’ornitorinco è minore di quella degli altri mammiferi, attestandosi attorno ai 32 gradi centigradi, invece dei 38 gradi tipici dei mammiferi placentati – non avrebbe avuto problemi a entrare nei locali pubblici quando si misurava la temperatura corporea -

        Anche dal punto di vista esteriore, inoltre, il suo aspetto ha delle caratteristiche che lo rendono unico, con uno spesso mantello di peli che ricopre tutto il corpo (coda compresa) tranne il becco e le zampe, che sono rispettivamente appiattito e palmate. Di fronte all’ornitorinco, che procede fiero nella sua essenza, evidentemente senza preoccuparsi di quale sia il suo livello di collocamento in una ipotetica scala naturale, è la scienza che a volte prova imbarazzo, in quanto non riesce a collocarlo in una precisa nicchia, definendolo, tra l’altro, oviparo.

      Se si entrasse nel merito delle modalità riproduttive dell’ornitorinco, infatti, si scoprirebbe che la femmina ha sì due ovaie, ma di queste una soltanto – la sinistra - produce gli ovuli che potranno essere fecondati per generare i cuccioli, mentre l’altra degenera, così come avviene negli uccelli. Il maschio ha, a sua volta, una caratteristica alquanto singolare: il suo organo riproduttivo esterno ha due estremità, circostanza a cui, allo stato attuale, la scienza non sa dare una spiegazione che sia scientifica, appunto.

         Tutta questa non è ironia nei confronti della scienza, né tantomeno nei confronti di un essere vivente che ha la sua dignità. L’imbarazzo dell’ornitorinco può essere una metafora simile all’eleganza del riccio, utilizzata qualche anno fa dalla scrittrice francese Muriel Barbery nel dare il titolo a un romanzo in cui si evidenziava la ricchezza interiore di un personaggio apparentemente buffo, lontano dai canoni della bellezza e di una presunta gradevolezza. Se l’imbarazzo è, nella sua accezione comune, una situazione di temporanea perplessità o di disagio nella scelta di un atteggiamento o di un comportamento, potrebbe essere interessante pensare proprio all’ornitorinco che si confronta con gli altri esseri viventi e si ritrova ad avere caratteristiche tali da essere inserito quasi forzatamente in una casella di appartenenza che gli sta sicuramente molto stretta. Perché queste sue diversità, in effetti, oltre a renderlo unico e interessante, rappresentano anche i suoi punti di forza.

       Zampe palmate e becco appiattito lo mettono in grado di vivere a proprio agio nell’acqua e di catturare facilmente le prede, in effetti è anche un essere semi anfibio. Il suo folto pelo ne protegge la bassa temperatura interna da quella del mondo in cui vive, che va dalle fredde regioni montuose della Tasmania e delle Alpi australiane, alle foreste pluviali tropicali delle coste del Queensland a nord, fino alla base della penisola di Capo York. La femmina dell’ornitorinco depone le uova, quindi la gestazione non avviene all’interno del proprio corpo, ma poi accudisce i cuccioli, allattandoli e proteggendoli finché non saranno in grado di alimentarsi e muoversi autonomamente.

       La metafora che ci viene in mente pensando all’ornitorinco, pertanto, è proprio quella di un essere vivente che non vive perennemente nella cosiddetta “comfort zone”, l’ambiente in cui si crede di avere il controllo della situazione e in cui ci si rifugia per ridurre l’ansia e lo stress che, inevitabilmente, la vita quotidiana ci propone. L’ornitorinco, inoltre, non si preoccupa di vivere in una “bubble zone” di appartenenza, là dove tutti la pensano allo stesso modo, dove il pensiero comune si appiattisce e il pensare diversamente viene etichettato come “conflicting”, oppure “opposing thought”, tanto da farlo “bannare” da un gruppo monotematico. Abbiano volutamente usato degli anglicismi molto usati in rete per sottolineare come, in un mondo moderno in cui si rivendica ad alta voce la libertà e l’indipendenza, molto spesso si tenda a uniformarsi in un conformismo imperante, dove persino il linguaggio errato diventa segno di appartenenza.

      La ricerca della propria dignità dovrebbe passare dalla ricerca della propria autostima, indipendentemente, o comunque non in sottomissione, da una classificazione che ci viene imposta dall’esterno.  Accade invece che in questi tempi sia in corso un fenomeno contraddittorio: mentre la cronaca ci parla quotidianamente di continue violazioni della dignità umana, attraverso guerre, violenze di ogni genere, morti provocate da atteggiamenti che non hanno nulla di dignitoso - ogni riferimento alle famigerate “challenge youtubiane” è fortemente voluto - accade al contempo che, quasi a volersi difendere da questa diffusa patologia, si intraprendano dibattiti e pubblicazioni sulla dignità della persona umana. Con lo scopo, evidentemente, di far riemergere il problema centrale, sul quale è necessario ritornare frequentemente per non perdere di vista un valore fondante della civiltà umana, appunto, la dignità umana.

      Riflettendo, l’imbarazzo dell’ornitorinco può essere, al contrario, proprio la metafora dell’affermazione della propria dignità. Ci piace risalire all’etimologia dei termini, perché spesso, in essa, possiamo trovare una risposta a mille domande. Il termine dignità deriva dal latino dignitas, dignus, che significa eccellenza, nobiltà, valore: perciò degno è ciò che ha valore e quindi merita rispetto. La dignità dell’essere umano è un valore culturale che non ammette esclusioni di alcun tipo, e che diventa fondamento per tutti gli altri valori, compresi quelli etici, nonché per tutti i diritti, perché la dignità umana nasce con la nascita dell’essere umano.

         Ed è per questo che la dignità richiede rispetto di sé e verso l’altro. Con un’attenzione particolare alla libertà, quella vera, quella di poter scegliere. Il filosofo statunitense Michael Novak afferma, a tal proposito, che “la nostra dignità di persone deriva dalla nostra capacità di riflettere e di scegliere, cioè dalla nostra capacità di autodeterminazione e dal fatto che quindi siamo responsabili della nostra sorte. Quando si parla di dignità umana, ci si riferisce a questa responsabilità di decidere autonomamente”. L’imbarazzo, quindi, non è dell’ornitorinco, ma di chi in esso non sa riconoscere la dignità perché lo priva della sua libertà.

Matteo Gentile

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