Parole come semi, parole al vento, parole come segni, parole del momento, parole come sensi, parole senza tempo. Chi, come me, subisce da sempre il fascino della parola e più che mai la suggestione della parola scritta, ha anche molto amato il senso del profondo, quell’andare, al netto dei suoni, alla radice delle cose, che il segno e il suono hanno il potere di evocare.
E così la parabola, cioè la similitudine di quella che è una specifica realtà, assume il carattere germinativo della stessa. Quel che si vorrebbe descrivere, per comunicarlo ad altri da noi, si rende manifesto attraverso l’εί̃δοσ, l’idea, la forma in cui quella realtà viene calata, perché diventi comprensibile per chi ascolta, ciò che diciamo.
Questo quando facciamo riferimento a qualcosa di concreto come può essere, platonicamente parlando, il mettersi d’accordo sull’idea della cavallinità, in modo che nelle nostre teste compaia simultaneamente l’immagine di un cavallo. Ma εί̃δοσ è strettamente correlato a εί̃δον, cioè all’atto del vedere con la mente e dunque all’atto di immaginare. Nella forma del perfetto οί̃δα vuol dire che ho visto e dunque so, ho anche appreso.
La parola che mi intriga dunque, in questo frangente, è immaginazione perché se questo vedere con la mente mi porta anche ad apprendere qualcosa della realtà noumenica e poi fenomenica è perché in qualche modo la informa e la rende manifesta a me e, per convenzione, a chiunque altro. Vedremo che le cose non vanno esattamente allo stesso modo per tutti, se non appunto per convenzione.
E cosa succede quando io mi prefiguro un concetto astratto evocato dalla mia verbalizzazione, cioè dalla parola usata per descriverlo e comunicarlo, nella mente di chi ascolta assume tutt’altra sfumatura di significato? Succede che la creazione di entrambi resta, magari sospesa fra i due interlocutori, ma è il frutto dei due diversi modi di intendere il medesimo concetto, idea, la medesima forma. È per entrambi realtà, diversa, ma pur sempre tale.
Al di là delle possibili incomprensioni, questo aspetto infinitamente libero dell’immaginazione, che conserva la propria peculiarità e dunque la propria potenza creativa è ciò che me la rende cara. Nella vita quotidiana siamo soggetti a tante limitazioni, tanti vincoli, tante convenzioni, senza dubbio utili allo scambio e alla relazione sociale, ma nella nostra mente, possiamo condurci fino alle profondità più inesplorate dell’immaginare e dunque del creare.
Verso queste frontiere sconfinate ha viaggiato, nei secoli, il genio dell’umanità realizzando quanto di grandioso l’opera dell’uomo abbia potuto inventare e costruire. Ma queste frontiere continuano a essere inesplorate all’infinito, perché infinito è il sapere insito nell’immaginazione. Einstein lo diceva: “L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata, l’immaginazione abbraccia il mondo, stimolando il progresso e facendo nascere l’evoluzione”.
Far nascere è sinonimo di creare: creare ulteriore conoscenza che consenta l’evoluzione. A qualcuno potrebbe apparire un’attività piuttosto faticosa, ma a volte sognare, immaginare, creare può essere addirittura riposante, come dal mio “Sorrisi Segreti” (Kimerik Edizioni, 2016):
Ci navigano
dentro
gli oceani
alti del pensiero,
così che ci si può
riposare
dentro il limpido
ondeggiare di un’idea”.
E prima ancora, al netto di tutto, alla radice di ogni parola, di ogni cosa e del pensiero stesso, sempre da “Sorrisi Segreti”:
“Non contano
le ere,
non contano
i fatti,
il tempo,
il prima e il poi.
Non contano
le persone o
le parole.
Conta appena
ciò che era prima
di ogni prima
e infinitamente
è.
Ciò che conta è
l’impalpabile
essenza
che fa
l’idea stessa.
Rossella Maggio