Tutto cambierà nel giro di pochissimi anni. Le crisi sotto il profilo socio-economico hanno l’effetto –e ciò è comprovato dalla Storia– di spostare la popolazione dai settori meno evoluti a quelli più evoluti, ovvero da quelli più semplici e meccanici a quelli più complessi e problematici, ed ancora da livelli elementari ad altamente articolati. E la popolazione in cammino in questo percorso non sempre si presenta all’altezza dei nuovi scenari e del cambiamento, talché molti sono quelli che escono dal mercato del lavoro. Sicché la crisi, sicuramente è il preludio a nuovi e rinnovati scenari produttivi e sociali, in un processo che offre maggiori benefici e benessere, ma è anche il momento in cui il sistema si libera di risorse incapaci di percorrere le strade che lo sviluppo impone, e che preferisce sostenere gratuitamente, anziché impiegarle nei processi produttivi e sociali.
Le crisi che si sono sviluppate negli ultimi duecento anni, infatti, hanno fatto transitare il sistema produttivo da un uso intensivo della meccanica, a quello poi dell’informatica e, con la crisi del 2020, si passerà nell’Era della robotica, che verrà impiegata in ogni ambito delle attività umane. Il robot farà persino da badante, da autista e da giornalista, da cantante e da musicista.
Lasciando stare i meccanismi che portano ad un’applicazione sempre più spinta della tecnologia dopo una crisi, di certo sappiamo che nei prossimi anni molti processi produttivi verranno portati avanti dai robot. Ne consegue che non poche risorse umane dovranno collocarsi in settori più evoluti, ed in ogni caso, dove il robot non potrà essere impiegato, richiedendosi, dunque, al “lavoratore” qualità superiori e non raggiungibili o riproducibili dall’intelligenza artificiale.
Ed ecco che l’istruzione e lo sviluppo costante delle competenze produttive saranno indispensabili, ma non sufficienti per rimanere nel mercato del lavoro in posizione attiva. Certamente, si svilupperà tutta un’economia attorno a chi non riesce ad integrarsi nei nuovi processi produttivi, e ciò in termini di supporto psicologico, esistenziale o riabilitativo ai nuovi scenari. Da qui, ad esempio, uno dei tantissimi focalizzati sull’assistenza, può essere quello che vedrà sorgere migliaia di corsi tesi a gestire lo stress, sviluppare l’arte oratoria, l’arte di gestire un’impresa, l’arte di mantenere la calma e la freddezza nelle decisioni, l’arte di effettuare le scelte e via dicendo.
Per altro verso, sul piano sostanziale e pragmatico, i titoli avranno sempre meno valore, non escludendosi tuttavia la necessità di conseguire almeno una laurea, nella prospettiva formativa ed informativa. Ma come si sottolineava, le competenze non rappresentano la discriminante, il valore aggiunto. In altre parole, se si hanno competente sviluppate, anche in maniera importante, si ha solo la possibilità di “entrare in campo” e non vedersi relegato alla “panchina”. Avendo rilevanti competenze non si entrerà nel mercato del lavoro, ma ci si potrà candidare, mentre in passato il possesso di queste era garanzia per lavorare e magari anche arricchirsi.
Nella società del domani, di quest’immediato domani, il lavoro sarà riservato solo ha chi ha genialità, creatività, una giusta follia. E questo perché tutti i processi codificabili e le informazioni possono essere gestite da robot. Insomma, saper fare una operazione ripetibile non rientrerà più nel concetto di lavoro, ma oggetto di processi informatici e robotizzati. All’uomo resta, dunque, il guizzo intuitivo, l’estro folle ed efficace, che prescindono da un’azione manualistica, che tuttavia bisogna conoscere per trascendere, appunto. Il lavoro del domani sarà per persone altamente intuitive, altamente in-telligenti, capaci di “sbandate controllate” come nel rally, per il resto tutto sarà devoluto al robot, anche il taxi.
Ignazio Del Gaudio