La condizione degli stranieri qui da noi, alla periferia della città metropolitana di Milano, non è dissimile da quello che accade nel resto dell’Italia come anche nel Salento.
Ci si arriva con ogni mezzo possibile, a piedi via terra, via mare sui barconi della morte (ne sanno qualcosa i pesci, anche se giustamente Chris Obehi canta: “non siamo pesci dentro il mare, ma siamo umani, sempre…”) e via aria sugli aerei come turisti, formalmente.
Che cosa accade quando dopo mille peripezie si arriva sul suolo patrio? Incominciano i problemi. Immagino quando 70 anni fa i nostri padri migravano con le valigie di cartone in direzione della ‘Merica: Stati Uniti, Argentina e Venezuela soprattutto. La vita a volta si rovescia. E bisogna far fronte alle necessità: corsi di italiano, formazione, regolarizzazione dei permessi, il lavoro, la casa… Dove dormire? A chi rivolgersi? Ai sentito dire: che c’è un corso di italiano, che qualcuno può ospitare i nuovi venuti, un alloggio, una camera, un posto letto. Un albergo, per le urgenze. Ma costa molto e allora dopo qualche giorno, quando si esauriscono i pochi soldi che si sono potuti portare dietro, occorre trovare soluzioni più economiche. Parte il tam tam, ci si ferma davanti al bar dei cinesi e si chiede a tutti se conoscono qualcuno che può ospitarli. Ai barbieri, visto che notoriamente loro tastano prima di tutti il polso della situazione: "Sì, va bene, ora non sappiamo, ma se veniamo a sapere ti telefoniamo..."
I primi a essere chiamati sono gli stranieri che piano piano hanno sistemato la loro condizione con una casa in affitto regolare o con l’acquisto, caso raro, di un piccolo appartamento. Avete disponibilità di ospitare una mamma e due ragazzi del Venezuela? Sono per strada. No, mi dispiace. Per qualche giorno, ma poi devono uscire… Niente da fare! Le associazioni umanitarie: la Caritas. Sicuramente avrà qualche disponibilità, invece niente. Allora il Comune di residenza dei figli, che intanto hanno litigato con il padre. Uno è minore, l’altro ha appena iniziato il lavoro di magazziniere in una azienda che raggiunge in bici. Più di 20 km di andata e ritorno. Il piccolo ha tentato di frequentare l’Istituto tecnico ma l’ha trovato difficile e ha ripiegato su un corso di idraulico di Afol metropolitana. E’ scappato di casa e non vuole ritornare, perché non va d’accordo con il padre. La madre è appena arrivata dal Venezuela. E’ dovuta fuggire perché perseguitata politica e si sta muovendo per ottenere il riconoscimento di rifugiata umanitaria. Nel frattempo è per strada o quasi. Hanno trovato per tre notti una camera in comune a San Giuliano, zona centro, per 40 euro a notte, sorvegliati da un mastino che ringhia continuamente e impedisce di riposare.
I servizi sociali del Comune di Melegnano non intervengono se non a fronte di una denuncia ai Carabinieri per chiamare ai suoi doveri il padre, ma i figli non vogliono averci a che fare e temono che, stante le condizioni precarie del padre, il minore possa essere rinchiuso in una struttura semidetentiva. Intanto attendono, che qualcuno fra quelli interpellati si faccia vivo e che l’agente immobiliare riesca a trovare una soluzione provvisoria. Ma al momento non ha disponibilità né di alloggi né di camere. Sono in attesa di un miracolo di fede, di speranza e di carità. Si può vivere così?
Paolo Rausa