“Niente è per sempre, ma ciò che amiamo è l’eternità” - di Pamela Serafino

“Niente è per sempre, ma ciò che amiamo è l’eternità” - di Pamela Serafino

     

     “Niente è per sempre, ma ciò che amiamo è l’eternità!” In questa frase ossimorica racchiuderei il senso del tempo presente, un’antitesi tra la precarietà del vivere contemporaneo, con i suoi tempi brevi, la velocità del vivere, la schizofrenia del consumo, il desiderio di mutamenti continui e il desiderio dell’umanità di riconoscersi sempre in qualcosa di eterno, in cui ritrovare i tempi dispersi del sé. La contemporaneità rappresenta l’illusione dell’uomo di sfuggire al senso dell’eterno a cui però la sua stessa vita rimanda di continuo in un rimpianto sommesso.

     Mi piace cercare nei libri possibili chiavi di lettura, nuovi modelli interpretativi con cui leggere il mondo. Perdersi tra le loro pagine e seguire il filo conduttore di una ricerca tra il bisogno intramontabile di eternità e la fugacità del vivere contemporaneo in cui la parola fine pare essere protagonista indiscussa. A questa parola Igor Sibaldi pare opporsi tracciando il confine di una possibilità diversa: con la morte tutto finisce, anche l’amore più puro o forse no? Nel suo romanzo Eterno amore, Sibaldi sembra voler esplorare l’inconsistenza della parola ‘fine’, interrogandosi sulla parola ‘resurrezione’ e su quelle dimensioni psichiche che ci possono traghettare in un altrove ignoto e affascinante.

   Anche le parole ‘ricordo’ e ‘cambiamento’ neutralizzano la ‘fine’. L'amore è l'avventura più grande, è la ricerca di un destino nascosto al di là dell'orizzonte, questo è il messaggio che Richard Bach ci dona col suo libro autobiografico, Un ponte sull’eternità, in cui narra la sua relazione sentimentale con l’attrice Leslie Parrish. L’amore è l'unico sentimento in grado di gettare un ponte sull'eternità e durare per sempre nonostante le difficoltà, nonostante la sua presunta ‘fine’.

    Immancabile in questo girovagare tra i libri il riferimento al saggio “L’Amore liquido, sulla fragilità dei legami affettivi ” di Zygmunt Bauman. La relazione umana e la sua sorte in un’età in cui gli uomini e le donne sono disperati perché abbandonati a sé stessi, appaiono centrali. Essi si sentono degli oggetti a perdere, e dunque anelano la sicurezza dell’aggregazione e una mano su cui poter contare nel momento del bisogno: sono ansiosi di instaurare delle relazioni. Ma sono allo stesso tempo timorosi di restare impigliati in relazioni stabili, per non dire definitive, poiché pensano che proprio tali relazioni possano comportare oneri e tensioni, che non pensano di poter sopportare e che dunque possano limitare fortemente la loro libertà.

    La relazione, insomma, è il terreno della più grande ambivalenza: deve essere leggera e flessibile per potersi rompere facilmente e dare la possibilità all’individuo contemporaneo di ricostituirsi, mantenendo intatta tutta la potenzialità relazionale di ognuno. In questo modo ognuno è molto più solo che in passato, ma libero molto più che in passato di tentare forme e sistemi per uscire da questa solitudine.

    Che cosa opporre alla parola ‘fragilità’ se non la tensione derivante da un’aspirazione alla forza, al riconoscimento di un bisogno di qualcosa che sia meno fugace?

      La tensione dell’uomo verso l’eternità resta inalterata anche nell’epoca “dell’usa e getta”, del “tutto e subito” quale sfondo della ricerca di un senso che trascenda la “finitudine umana”, nonostante la fuga da relazioni stabili: l’uomo e la donna si cercano, e la ricerca è un punto di partenza, un inizio in cui dispiegare o illudersi di farlo, il filo temporale che immette nell’eternità.

Pamela Serafino

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