Piccola riflessione sulla parola Confinamento - di Mariangela Filoni

Piccola riflessione sulla parola Confinamento - di Mariangela Filoni

     La passione per le parole e la lingua mi hanno portata a una considerazione dai contorni decisi. Proverò a spiegarla, consapevole che, come ci dice Saramago, la parola è stata data all'uomo per dissimulare il pensiero: è il tentativo sempre frustrato per esprimere ciò che con una parola chiamiamo pensiero ma resta il meglio che si possa trovare.

    La considerazione è questa: ho notato che quando si parla davanti alla bellezza, per esempio, di un tramonto, anche e soprattutto se lo si vuole descrivere o commentare, anche solo per dire "che meraviglia", questo tramonto perde un po’ della sua forza: la parola ha aggiunto un volume inutile e sminuente a ciò che è gia perfetto così, è un po' come se quel tramonto perfettamente muto lo avessimo un po' perso. Allo stesso modo, per fortuna, capita con le esperienze negative; parlarne ci aiuta a non farle solidificare dentro, a intaccare fegato e stomaco; parlarne ci aiuta a toglierne la forza.

   E allora parliamo di questo contatto che abbiamo perso con i nostri simili non a causa della pandemia di cui si è parlato e taciuto troppo, ma a causa del lockdown molto ben traducibile con la parola confinamento. Il confinamento durato quasi un anno e mezzo può anche avere risposto alla necessità di rallentare, di fermarsi, di salutare e curativa solitudine, giammai di isolamento.

   Ricordo che in pieno confinamento mi svegliavo con le lacrime agli occhi: stavamo subendo un trauma, un attacco in piena regola alla nostra natura umana ai nostri tre cervelli. Abbiamo messo la scienza davanti a tutto ma la scienza ci insegna anche che ogni ente esiste in quanto "aggregazione" di elementi. Disgraziatamente come il confinamento è divenuto lockdown, l'aggregazione che è alla base della vita da circa 14 miliardi di anni, ha assunto con il termine assembramento, una valenza catastrofica, ti fanno perfino la multa, come se assembramento non avesse neanche la stessa radice di assemblamento: mettere insieme, perfettamente in linea con la logica di aggregazione che ci governa.

     E torniamo a noi alle lacrime del mattino che non penso di aver pianto solo io. Abbiamo pianto perché eravamo letteralmente a pezzi, senza contatti, senza relazioni, senza logica. Senza logica: in questo caso ci può venire in aiuto l'etimologia della parola logica: logos, giusto per farci ancora un po' di male.

    Significa primariamente "mettere insieme, raccogliere" e di seguito anche dire, parlare, visto che parlando si mettono insieme le parole, e ancora calcolare, ma anche lex, -la legge, che a livello civile mette insieme gli uomini- leggere, e via di seguito.

    Dopo aver “reagito” piangendo ho osservato che le persone hanno cominciato ad “agire”: abbiamo raccolto cioè i fogli sparpagliati delle nostre esistenze "rilegandole” (logos) con le istanze della nostra interiorità, del nostro io stropicciato catapultandoci un po' tutti in luoghi inesplorati. Gli unici praticabili. Dove riecheggiano le voci dei poeti e dei pazzi che amano il rischio, come ha fatto la poetessa Annamaria Colomba in tempo di confinamento col suo Canto Solitario di Penelope nuova o come fa anche la nostra maestra Patrizia Petrachi quando ci parla delle difficoltà della didattica a distanza e intanto parla con gli alberi; siamo diventati tutti un po' artisti anche se abbiamo semplicemente cambiato la carta adesiva in un cassetto.

    In quei momenti di “raccoglimento” eravamo tutti violinisti alla finestra del nostro confine; proprio come viene rappresentato da Henri Matisse. La logica che governa tutto ha continuato a produrre forza, energia, in un processo che rimane aggregante: pensiamo solo a quanti, nel sociale, con le varie associazioni di volontariato sono corsi in aiuto dei più fragili. E dunque bene bene bene bene, fra il male e il bene è più forte il bene detto alla Jovanotti, perché “son vivo finché son vivo”.

       Ma in tutto questo concluderei come farebbe John Fante, sinceramente e modestamente non saprei davvero dirlo meglio:

"Fui sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell'uomo, del terribile significato della sua presenza. Il deserto era lì come un bianco animale paziente, in attesa che gli uomini morissero e le civiltà vacillassero come fiammelle prima di spegnersi del tutto. Intuii allora il coraggio dell'umanità e fui contento di farne parte".

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