La chimica, la vita, l’arte e …l’esperimento perfetto (parte prima): le premesse - di Monia Politi

La chimica, la vita, l’arte e …l’esperimento perfetto (parte prima): le premesse - di Monia Politi

     Con questo "pezzo" prende il via una nuova rubrica di Venti di Ponente, ovvero La chimica, la vita, l’arte e …l’esperimento perfetto. Con due appuntamenti mensili, sarà condotta da Monia Politi, chimico professionista, ma al tempo stesso penna raffinata, che ci condurrà nelle stanze della Vita e dell'Arte, attraverso un gioco di specchi e un uso sapiente di metafore, capaci di "filtrare" i vari argomenti che di volta in volta proporrà, e nei quali il lettore troverà un po' di se stesso. E forse saranno anche sufficenti a "distillare" idee utili per la proprie esistenza, magari per guadagnare una maggiora agilità nel suo incedere intellettivo e da qui una più spiccata disinvoltura  nell'interagire con la Reatà, intima e sociale.

Pompea Vergaro

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        Chimico: in questa parola, così comune, c'è un profilo particolarmente interessante da considerare: oltre al significato generale per cui ci parla di qualcosa di relativo alla chimica (o di qualcuno che opera nel settore), è usata come qualificazione contraria a 'naturale' - e questo aspetto merita di essere osservato, perché è piuttosto buffo.
Infatti a ben vedere non solo la vanillina di sintesi, ma anche il prezioso baccelletto di vaniglia - proprio quello che cogliamo con grave rischio da un albero proteso su uno scrosciante torrente nel cuore selvaggio dell'isola di La Réunion sui cui l'odorosa orchidea si arrampica, nel ronzio delle api - ha un aroma che è tutto chimico. Insomma, questo aggettivo è un campione ben strano nell'opposizione alla qualità del 'naturale', visto che è difficile trovare nella natura qualcosa che non sia regolato e prodotto in modo capillare da fenomeni chimici. Viene da chiedersi come nasce questa opposizione tanto diffusa nell'uso corrente.

      L'aggettivo 'chimico' ci descrive in questo caso qualcosa di artificiale, che in particolare è ottenuto in laboratorio attraverso processi chimici; e in questo scorcio si può riconoscere il secolare giudizio maturato nei confronti non della chimica ma dell'alchimia (in arabo al-kīmīyāʾ è la pietra filosofale). L'alchimista, per un occhio sospettoso ai tempi largamente condiviso, sovverte le leggi della natura, adultera l'ordine naturale nelle sue superbe ricerche. E anche se il chimico lavora, umile e industrioso, con i soli processi permessi proprio dalle leggi di natura faticosamente afferrate, si porta dietro questa eredità di giudizio. Se diciamo che una merendina è chimica, adombriamo la silhouette del bieco alchimista che gioca a fare dio gonfiando e aromatizzando i pandispagna fra vapori colorati secondo ricette proibite, opposta in ideale e fatale duello alla nonna col grembiule che spiana la frolla e fa la marmellata con le albicocche dell’albero.

    È un aggettivo che così, nella sua generalità, si presta a questo uso improprio, se non ingiusto: forse nell'opposizione fra naturale e artificiale (che spesso è utile significare e rimarcare) non è il caso di far colare il chimico.

     Tutto ciò premesso, quasi trent’anni fa sono partita per Pisa con una valigia piena di sogni e aspettative; andavo a studiare chimica industriale ed ero fiera di me stessa per aver accettato questa sfida. Ma allora non sapevo quale ruolo avrebbe avuto la chimica nella mia vita: pensavo che mi sarei laureata e, entrata nel mondo del lavoro, avrei messo a frutto le mie conoscenze…e così è stato!

   A un certo punto ho capito, però, che quella scelta ardita di fare chimica andava ben oltre la professione; la chimica poteva diventare una chiave di lettura per interpretare la vita, le sue incertezze, i suoi successi e fallimenti, proprio come accade in un esperimento di laboratorio. Mi piace usare le parole di Primo Levi (che ho scoperto da poco essere stato un chimico e aver scritto testi interessantissimi sulla relazione tra chimica e vita) per descrivere quale è la potenzialità della chimica:

Distillare è bello. Prima di tutto, perché è un mestiere lento, filosofico e silenzioso, che ti occupa ma ti lascia tempo di pensare ad altro, un po’ come l’andare in bicicletta. Poi perché comporta una metamorfosi: da liquido a vapore (invisibile), e da questo nuovamente a liquido; ma in questo doppio cammino, all’in su ed all’in giu’, si raggiunge la purezza, condizione ambigua ed affascinante, che parte dalla chimica ed arriva molto lontano… e finalmente, quando ti accingi a distillare, acquisti la consapevolezza di ripetere un rito ormai consacrato da secoli, quasi un atto religioso, in cui da una materia imperfetta ottieni l’essenza…” (“Potassio”, “Il sistema Periodico”)

      Il chimico distilla, separa, discerne la materia, alla ricerca della purezza, sempre consapevole che si può trovare quello che si cerca oppure no, che dietro l’angolo può esserci il fallimento, inteso non come sconfitta, ma come momento di comprensione delle variabili che sono determinanti nella riuscita di un esperimento. Io ho avuto bisogno di fare questo nella mia vita, distillarla, ritrovarne la purezza, l’essenza per non perdermi, per ritrovarmi…ero e sono una ricercatrice alla ricerca di me stessa.

     La chimica è divenuta il mio approccio alla vita, quella bussola che poteva aiutarmi a comprendere i meccanismi di reazione della mia esistenza, che poteva farmi vedere ciò che c’è, che poteva darmi risposte sul mio stato energetico, che poteva chiarire cosa non avesse funzionato in alcune circostanze: avevo mescolato, come in un esperimento da laboratorio, alcuni reagenti, ma la reazione aveva preso un cammino diverso, inaspettato. La vita, come la chimica è fatta di tentativi, che tendono all’esperimento perfetto, a quell’equilibrio che ciascuno di noi brama nella propria esistenza. E ancora Levi viene in mio aiuto:

Siamo chimici, cioè cacciatori: nostre sono le due esperienze della vita adulta di cui parlava Pavese, il successo e l’insuccesso, uccidere la balena bianca o sfasciare la nave; non ci si deve arrendere alla materia incomprensibile, non ci si deve sedere. Siamo qui per questo, per sbagliare e per correggerci, per incassare colpi e renderli. Non ci si deve mai sentire disarmati. La natura è immensa e complessa, ma non è impenetrabile all’intelligenza; devi girarle intorno, pungere, sondare, cercare il varco o fartelo…” (“Nichel”, “Il sistema Periodico”)

     Nulla accade a caso e l’abilità sta nel comprendere, come il chimico nel suo esperimento, cosa è che non ha funzionato, aggiustando di volta in volta quella che appare la variabile chiave. Le differenze, le piccole differenze nella nostra vita agiscono come la temperatura nella distillazione, basta un grado in più o in meno per ottenere frazioni più o meno pure, e nella vita basta a volte un sì o un no per determinare cammini diversi.

      Il mio approccio da chimico alla vita, come se essa fosse un esperimento da laboratorio, ha fatto rizzare i capelli in testa a qualcuno che mi diceva: ”Come puoi usare una mente scientifica per descrivere la vita… e come fai a ridurre le emozioni a reazioni chimiche? Come puoi pensare che in una beuta ci sia poesia?

      Non mi sono arresa difronte a questa visione, perché credo che la chimica appartenga alla nostra vita e pertanto è essa stessa meraviglia, stupore, inaspettata soluzione alle situazioni complesse.Ho sempre desiderato la commistione tra i vari aspetti della vita e per questo la chimica non è mai rimasta relegata nei laboratori e nelle beute; all’inizio ne ero poco consapevole, poi man mano quest’idea di mescolare, contaminare ogni aspetto della mia vita è divenuta sempre più forte, sempre più prepotente, sempre più dominante. Io adoro cucinare e la cucina è una splendida declinazione della chimica: il dolce cresce in forno perché la lievitazione crea anidride carbonica, gli albumi si montano a neve perché col frullino denaturiamo le proteine che lo compongono, e la pasta si incorda perché liberiamo il glutine quando impastiamo con le mani.

       La chimica può essere linguaggio poetico, alternativo, inconsueto: e allora evoluzione può far rima con “salto quantico”, incontro” può divenire “sovrapposizione di orbitali”, cambiamento può essere chiamato “viraggio” e trasformazione può diventare “reazione”.

      E proprio le parole, il linguaggio mi offrono ora la possibilità di sperimentare la contaminazione degli stili del vivere: l’immensa ricchezza della nostra lingua apre nuovi orizzonti di espressione, modi diversi di esprimere con termini nuovi le cose del quotidiano, donando ad esse nuove e inconsuete sfumature, accorciando quelle false distanze tra il poeta, che nell’immaginario collettivo è un individuo con la testa fra le nuvole, e il chimico, profondamente radicato nella razionale realtà. Dare alle cose, ai fenomeni, alle relazioni nomi nuovi, sperimentare suoni diversi per esprimere concetti noti, può essere un modo per guardare la realtà con occhi nuovi e scoprire potenzialità celate, non ancora venute allo scoperto.

     Per me non si tratta di un mero esercizio linguistico: ricordo ancora che ai tempi del liceo il mio prof di italiano, parlando di scrittori del 600, introdusse il concetto di similitudine, quale strumento linguistico in grado di accorciare le distanze tra sfere esperienziali che apparentemente non dialogano tra loro. Questo concetto, che può apparire ad una prima analisi qualcosa di astratto, si rivela in realtà un interessante esercizio per trovare la connessione tra tutti gli aspetti della nostra vita, ci permette di adottare un diverso stile, attento e consapevole e soddisfa quel desiderio insito in ogni uomo del ritorno all’unità dell’essere, alla sua pienezza e completa realizzazione.

La similitudine tra chimica e vita ricuce dunque le mie due” facce”: quella che indossa il camice bianco e  “gioca con le provette” e quella che si perde nel rosso di un tramonto e usa quel colore per scrivere.

Monia Politi

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