Riappropriarsi degli spazi sociali e della socialità, in un contesto totalizzante ed escludente, in questo sistema capitalista e, ancora di più, dopo tre mesi di isolamento a causa della pandemia. Tornare a vivere da società e non solo come singoli individui, frequentare le piazze come insieme e non come semplice somma di corpi. Vale per quegli spazi ludici, come ristoranti o birrerie, vale per quelli della lotta e del pensiero alternativo indispensabile, da coltivare e tutelare a garanzia della sopravvivenza della democrazia. Una democrazia intaccata dal pensiero debole, che ha portato all’isolamento psicologico del cittadino comune, da qui lo spazio sociale come possibilità di intesa, di raccordo, per rompere la dittatura del relativismo, voluta tramite Popper. “L’essere umano è un animale sociale” sosteneva Aristotele, già nel IV secolo A.C., perché tende ed è spinto ad aggregarsi, naturalmente o per necessità. Gli esseri umani debbono unirsi, ma non nella prospettiva meccanica e durkheimiana, ma un’unione di intenti e costrutti, obiettivi volti al rinnovamento della società e non invece al sostentamento del consumismo e, dunque, del capitalismo, il quale sebbene, non condannabile, perché conduce al benessere materiale, sicuramente è da superare. È questo il progresso che si realizza anche attraverso questi spazi sociali. Gli esseri umani si aggregano perché sanno che come singoli possono realizzare poco, perché da collettivo possono raggiungere traguardi più alti, perché da collettivo possono vincere le battaglie sociali ed economiche. Sebbene, qualcuno, come ovvio, può preferire la solitudine e la sua singolarità, un individualismo intimo che non deve, però, mai tradursi in autismo sociale.
Ecco così, che lo spazio sociale può configurarsi come spazio politico, ma non solo. È questo lo spazio culturale per eccellenza, dove si sperimentano e provano nuove forme di relazioni più aderenti alla realtà e alle esigenze della modernità, ed anzi cultura del futuro, in tale prospettiva. Frequentemente collocati nella periferia della città, stranamente a Lecce, invece, si collocano anche nel centro storico della Città Barocca, quale atanor e laboratorio sociale nel cuore della città, laddove essa pulsa. Questa è una nota di rilievo per Lecce, perché tale orientamento politico-culturale non avviene ai margini del territorio, ma nel centro, dove tutta la città converge. Lecce quale modello da esportare? Sicuramente sulla questione occorre una seria e pregnante riflessione, non solo da parte delle frange estreme della sinistra, ma anche da quelle moderate, non escludendosi l’ipotesi si componenti politiche altre. È questo il luogo sociale di progettazione e proiezione, che negli ultimi 30 anni sono andate perse, in un pragmatismo che ha condotto, forse, ai limiti della civiltà stessa, senza soluzioni ulteriori. Soluzioni invece indispensabili, non solo per la collettività nel suo insieme, ma anche per l’individuo stesso, in controtendenza a quella che Bauman definisce “liquidità”.
Una riscoperta e una riappropriazione di questi luoghi equivale a rimettersi in carreggiata nell’ordine dell’autodeterminazione collettiva e individuale, tanto necessarie oggi, in presenza di un globalismo asfissiante ed un appiattimento culturale, sulle idee dominanti, che oramai possono considerarsi quale merce avariata degli ultimi decenni. Ecco, dunque, la vera alternativa che apre nuovi spazi intellettuali: gli spazi sociali.
Massimiliano Lorenzo