Via agli acquisti, ma con quale animo? - di Matteo Gentile

Via agli acquisti, ma con quale animo? - di Matteo Gentile

         “Non piangere mai per qualcosa che non possa piangere per te”. Questa frase, che gira in questi giorni tra le tendenze in rete, l’avrebbe pronunciata il grande attore e regista Vittorio De’ Sica rivolgendosi a Sofia Loren in lacrime per il furto subito a Londra di tutti i suoi gioielli.

        Un concetto che nel contesto in cui fu pronunciata aveva un senso più che valido, visto che De’ Sica ricordava a Sofia il loro passato di giovani napoletani squattrinati, e di quanto il denaro e i gioielli fossero qualcosa di effimero “che va e che viene”. Leggendo e rileggendo i messaggi che la riportano, e i commenti a corredo, nasce in noi una riflessione: quanto questo concetto può essere più o meno attuale? E come mai gli utenti delle diverse piattaforme informatiche se lo stanno rimbalzando?

       Siamo in una società in cui le contraddizioni sembrano essere diventate talmente contrastanti quasi da far combaciare gli estremi. Da un lato, la ricerca esasperata del benessere per tutti e a ogni costo, caratterizzata da una spasmodica rincorsa verso una vita al di sopra delle righe, oltre ogni limite, a tutta velocità. Dall’altro, la necessità di recuperare i valori di fondo, di riassaporare la serenità che deriva dall’accontentarsi delle piccole cose, di quella povertà di spirito che sa cogliere nel poco il molto, se non il tutto. In questi giorni, ormai a ridosso delle festività natalizie, tra uno sciopero dei mezzi di trasporto, una lite mediatica - il cosiddetto dissing, come dicono gli anglofoni – tra artisti o presunti tali che si riempiono di insulti e sberleffi, alimentando i click e gli introiti pubblicitari dei siti e delle testate virtuali (online, per intenderci), la notizia parzialmente positiva che passa è che il “black Friday” sta incoraggiando i consumatori a effettuare i primi acquisti per il “white Christmas”.  Venerdì nero per un bianco Natale, una delle contraddizioni di cui si parlava qualche rigo fa.

       Quelli che una volta si chiamavano saldi di fine stagione sono stati anticipati e soppiantati dai saldi prestagionali, dagli sconti stratosferici che ti inducono a pensare che risparmiando il cinquanta per cento, a volte anche il settanta, per acquistare quell’oggetto di cui non sentivi la necessità né il bisogno fino a prima che te lo proponessero a quel prezzo, sarai appagato e contento. Tra l’altro, il fenomeno del cosiddetto black Friday fu coniato e ideato un secolo fa da un grande magazzino statunitense per dare il via agli acquisti natalizi, subito dopo il giorno del Ringraziamento, che cade il 23 novembre in ricordo dello sbarco dei Padri Pellegrini a Plymouth, i quali per celebrare la riuscita del loro primo raccolto nel Nuovo Mondo, invitarono 90 nativi americani Wampanoag a banchettare con loro. Tempo fa era circolata una notizia, poi rivelatasi completamente inventata, secondo la quale la locuzione “black Friday” derivasse dal fatto che in quel giorno della settimana gli uomini e le donne di pelle nera, invenduti al mercato degli schiavi, venissero venduti a prezzi molto bassi.

       Notizia ampiamente sbugiardata in quanto il suo primo uso, appunto, risale agli inizi del ‘900, come detto, e successivamente fu la stessa polizia americana a utilizzarlo per indicare il caos che si creava nelle strade proprio nel venerdì successivo alla giornata del ringraziamento che dava inizio alle compere. Ora, si potrebbe entrare nella classica diatriba tra consumismo e veri valori del Natale, si potrebbe scomodare Dickens e il suo Scrooge, il vecchio ricco che si redime grazie al suo segretario povero ma felice con la sua famiglia. Spingendosi nella tradizione, si potrebbe risalire ai regali che i Re Magi portarono dall’Oriente del mondo a un Bambino che avrebbe rivoluzionato il corso dell’umanità o, andando ancora più indietro, alla strenna natalizia che risale nientemeno che alla Dea Strenua, in onore della quale gli antichi romani si offrivano a vicenda rami di ulivo e di alloro, miele, fichi e mele. Resta il fatto che in questo periodo dell’anno parte la corsa al regalo. Una bella pratica, senza dubbio, perché concentrare pensieri e sforzi, anche per pochi istanti, sulla scelta dell’oggetto da acquistare – o riciclare, perché no – e da destinare a una persona che ci sta più o meno cara, è in ogni caso un bel gesto.

       Ma cosa c’è, dietro quel gesto? C’è davvero empatia? Ovvero, la scelta del regalo è davvero la scelta di qualcosa che renda felice, anche per un solo piccolo istante di dimenticanza, la persona che lo riceverà? O è piuttosto un bisogno interiore di scaricarsi la coscienza, di mettere in pratica quell’”almeno a Natale” che lascia il tempo che trova? Al netto delle spese, dei regali, delle cene e dei menu più o meno sfarzosamente macrobiotici o pantagruelici che qualcuno affronterà e altri – troppi, forse - non potranno, ci si potrebbe soffermare su concetti e pensieri meno prosaici, ma che probabilmente arricchiscono molto di più. Retoricamente si dice che un piccolo gesto o un pensiero valgano molto più di mille regali o cose materiali.

        Ma quanto questa retorica diventa poi pratica reale, sconfessando l’edonismo imperante e la fluidità della società del tutto e subito? “Non piangere per qualcosa che non può piangere per te”, fallo invece per tutte quelle volte che hai agito, pensato, parlato, apportando dolore all’altro. Perché, come cantavano Tozzi e Raf qualche decennio fa, “gli altri siamo noi”.

Matteo Gentile

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